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'Ndrangheta. Si nascondeva nelle campagne del Vibonese il latitante catturato dalla Polizia

Nella mattinata odierna, all’esito di prolungati servizi di osservazione e di infiltrazione sul territorio, personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria, collaborato dai colleghi della Squadra Mobile di Vibo Valentia e del Commissariato di Polizia di Polistena, ha localizzato e catturato, nelle campagne di Monterosso Calabro, in provincia di Vibo Valentia, il pericoloso latitante della ‘ndrangheta calabrese Giuseppe Alvaro, 34 anni,  alias “Peppazzo”, posto ai vertici della cosca Alvaro, intesa “Carni i cani”, operante a Sinopoli con proiezioni in Lazio ed all’estero. Era il latitante più longevo della Piana di Gioia Tauro, essendo colpito dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 17 febbraio 2009 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, per i seguenti reati contestati nell’ambito dell’operazione “Virus”, condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria:  delitto di cui all’art. 416 bis c.p., per aver fatto parte della ‘ndrina Alvaro, svolgendo funzioni di tramite tra il capocosca Carmine Alvaro e gli altri associati, trasferendo le direttive ricevute e riportando le notizie di volta in volta acquisite; per aver preso parte alle riunioni mafiose presiedute da Carmine Alvaro; per aver gestito, anche con funzioni decisionali, volte al riciclaggio valuta estera tra la Calabria, Roma, Milano, Torino ed i Paesi dell’est Europa; per aver mantenuto contatti con soggetti appartenenti alle altre ‘ndrine, finalizzati in particolare alla cessione di armi; delitto di cui agli artt. 110, 648 bis, aggravato dall’art. 7 della Legge 203/91 perché, in concorso con altri soggetti, avrebbe proceduto  all’acquisizione di denaro estero, prevalentemente del tipo dinaro Croati, won Coreani e dollari Coreani di provenienza illecita, ovvero al trasferimento di tale valuta, compiendo operazioni finanziarie, quali transazioni o versamenti, finalizzate ad ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa, il tutto al fine di agevolare la cosca Alvaro;delitto di cui agli artt. 81, 1 comma, 110 c.p., 10, 12 e 14 della Legge 497/74 e art. 7 della Legge 203/91, per avere, in concorso con Paolo Schimizzi (nel frattempo scomparso), nell’ambito di un medesimo contesto temporale di azione, detenuto e portato in luogo pubblico una pistola calibro 6.65 con relativo munizionamento e due ordigni esplosivi che Giuseppe Alvaro,  il 30enne Nicola Alvaro, il 34enne Nicola Alvaro e Rocco Caruso avrebbero ceduto a Schimizzi e Borruto, presunti esponenti della cosca Tegano, di Archi, frazione di Reggio Calabria;delitto di cui agli artt. 110 c.p., e 23, commi 1, 3 e 4 della Legge 110/1975, per avere, in concorso con altri soggetti,  detenuto e portato in luogo pubblico la pistola da considerarsi clandestina perché recante la matricola abrasa.    Il ricercato è stato catturato all’esito di prolungati servizi di osservazione svolti in un’ampia zona rurale. Al momento dell’irruzione eseguita in un frantoio, Alvaro ha tentato la fuga lanciandosi da una finestra, ma poco dopo è stato raggiunto dal personale operante che lo ha bloccato ed ammanettato. Dopo le rocambolesche fasi della cattura, l’arrestato è stato trasportato presso l’ospedale di Vibo Valentia per essere sottoposto ad intervento chirurgico, poiché, cercando la fuga dal frantoio, ha riportato la frattura scomposta della caviglia. Il provvedimento restrittivo compendia i risultati acquisiti durante l’attività investigativa che aveva svolto la Squadra Mobile di Reggio Calabria per la cattura di Carmine Alvaro, 53 anni (padre dell’odierno arrestato), rimasto latitante dal 9 giugno 2003 al 18 luglio 2005, condannato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 18 novembre 2002, per associazione mafiosa, quale promotore, organizzatore e capo dell’omonima famiglia mafiosa.  In tale contesto, secondo gli inquirenti, era emerso un ruolo di assoluto rilievo dell’ALVARO Giuseppe nell’organigramma della cosca. I vari accoliti, infatti, non esitavano ad eseguire puntualmente ed immediatamente le direttive da lui impartite anche, perché, probabilmente, ne riconoscevano il ruolo di portavoce del padre boss. Gli incontri con il padre, dunque, non erano semplici incontri tra padre e figlio, ma vere e proprie riunioni per stabilire le attività illecite della cosca e per ricevere le direttive del boss latitante. Giuseppe Alvaro era ricercato sin dall’inizio della propria latitanza, allorché riuscì a sottrarsi alla cattura insieme al cugino Paolo Alvaro, 51 anni, catturato il 20 novembre 2015 a Melicuccà da militari dell’Arma dei Carabinieri. Egli annovera diversi precedenti penali e di polizia per associazione mafiosa, ricettazione, furto, rapina, truffa, riciclaggio, violazioni della legge sulle armi, favoreggiamento personale e procurata  inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità. In relazione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere per la quale Alvaro risultava ricercato, il 7 aprile 2010 è stato condannato, all’esito del rito abbreviato, alla pena di otto anni di reclusione ed euro 8.000 di multa dal GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria. La sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 20 aprile 2010. 

 

 

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