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Trasversale delle Serre. Bando alle celebrazioni: il bello deve ancora venire

Nemmeno la soddisfazione per il conseguimento di un obiettivo atteso per lungo tempo da intere generazioni ha avuto la forza di rendere comunità un popolo, quello delle Serre, sfilacciato in fazioni che, pur nella diversità di vedute, dovrebbero marciare compattamente verso il traguardo, quello sì finale, dello sviluppo, concreto e non parolaio, della crescita ad ogni livello: economico, sociale e, soprattutto, culturale, inteso come rivoluzione di una mentalità collettiva ancora incapace di pensare in grande. La decisa sterzata impressa ai lavori che da decenni interessano la Trasversale è un fatto incontrovertibile e, come già scritto da Biagio La Rizza (leggi qui), l'ansia di mettere il cappello su questa storica novità che, prima di tutto, è comportamentale, appare esercizio sterile e fuorviante. La conferma ulteriore che guardare oltre il presente perché eccessivamente condizionati dalle nefandezze del passato rimane una chimera.  Eppure, si tratta di diatribe a cui sarebbe facile mettere il bavaglio limitandosi semplicemente alla presa d'atto che tutti gli attori si sono rivelati importanti ai fini del risultato ottenuto: il Governo, l'Anas, i rappresentanti della politica ed i membri del Comitato nato per contribuire a porre un freno all'immobilismo protrattosi per interi lustri. Ciò detto, però, è bene mettersi alle spalle con la massima celerità il giubilo generato dalla concretizzazione di passaggi importanti, ma non decisivi, ed immaginare, con atti e fatti, il futuro di un'area storicamente emarginata. Giustamente in questi giorni è stato messo l'accento sulla riduzione dei tempi di percorrenza del tragitto che separa Soverato da Serra San Bruno. E' questa la chiave di volta, è questo l'apriscatole che era chiuso in un cassetto di cui si ignorava anche la collocazione. Trovato l'attrezzo che serviva, ora è fondamentale saperlo maneggiare con cura e perizia. Perché non capire che l'"avvicinamento" fra una delle località marine più affollate di turisti e la cittadina bruniana rappresenta, esso stesso, il volano che può far decollare, finalmente e definitivamente, l'intera area delle Preserre, costituirebbe l'affossamento della speranza di impossessarsi di un futuro dai contorni  tuttora oscuri. Di questa consapevolezza è bene che si armino al più presto tutti i cittadini della zona, tutte le categorie professionali ed imprenditoriali, tutte le Amministrazioni e gli enti interessati. E' l'incrocio con la Storia e presentarsi a bordo di una vettura scalcinata guidata da conducenti improvvisati sarebbe una colpa imperdonabile per le generazioni presenti e, conseguenza ancor più grave, per quelle che verranno. La classe politica, in particolare quella che si occupa della gestione quotidiana delle necessità apparentemente più minute dei cittadini, ha l'obbligo morale di riconoscere la gravosità derivante dall'impegno richiesto: dotarsi di una visione strategica che illumini, con lungimiranza, la strada da percorrere per trasportare la comunità fino all'approdo finale del benessere distribuito equamente. La sorte è nelle mani dei sindaci: sono loro che, muniti di personalità e coraggio, si devono lasciare divorare dalla sana ambizione di presentarsi all'appuntamento con il destino indossando le divise da Generali, ma stracciando gli inutili lustrini. Davanti alla prospettiva di piazzare la zona delle Serre al crocevia di interessi ed opportunità inimmaginabili fino a qualche mese addietro, la strategia è una ed una sola: lavorare incessantemente, giorno e notte, per volare alto e, affinché l'impresa si compia, è indispensabile, prima di subito, afferrare il paracadute del turismo grazie al quale sarà possibile atterrare con sicurezza e tranquillità, sulle lande, attualmente sconosciute, del futuro. Considerare l'avanzamento dei lavori lungo la Trasversale delle Serre e, finanche il suo completamento, come un punto di partenza e non di arrivo è la condizione indispensabile perché s'inveri l'auspicio tanto desiderato di entrare a piedi uniti sulle caviglie della prosperità che, ancora nel 2016, sembra un avversario ostico da combattere e non una compagna di squadra a cui servire l'assist vincente. 

 

"La Villa Comunale come Central Park": nuova puntata della narrazione tragicomica di Falcomatà

La domanda, l'unica che a questo punto della tragica narrazione, ci si può porre è: perché? Quale debolezza umana induce un giovane di 32 anni, di professione sindaco di Reggio Calabria, ad avventurarsi nella giungla  delle dichiarazioni roboanti che con la realtà hanno lo stesso legame esistente tra la fantascienza grottesca e lo scrupoloso studio quotidiano nel quale sono immersi i geni ai quali dobbiamo scoperte rivoluzionarie. Il protagonista delle intemerate verbali, come già accaduto in passato, è Giuseppe Falcomatà, Primo Cittadino di Reggio Calabria. Una carica che, tuttavia, ricopre evidentemente a sua insaputa, al pari dell'assessore all'Ambiente Antonino Zimbalatti che qualche giorno fa ha osato ironizzare, lui, su un cestino traboccante nel centro storico di Roma. Al sindaco i caratteri tipici del genere fantasy, forse condizionato dalla giovane età, devono piacere davvero tanto e, quando ne sfiorano i pensieri, non può fare a meno di renderli di pubblico dominio, anche al prezzo di saltare il fosso che divide la serietà dallo sketch comico. Mesi addietro, in una sede istituzionale come Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regionale, aveva paragonato Reggio a Londra. Ne scrivemmo, convinti di descrivere fedelmente la vetta più alta apice del teatro dell'assurdo. Ma si trattava, come dimostrato dagli eventi, di un'apertura di credito immeritata perché il sindaco, tramortito da ignoti fremiti onirici, ha voluto abbattere con forza dirompente ogni argine. Il fiume impetuoso del paradosso si è ingrossato lungo la sua corsa verso il mare delle irresponsabili velleità e, con sicumera degna di miglior causa, lo ha affrontato, facendosi però trascinare fino al punto estremo (almeno per ora): la Villa Comunale di Reggio Calabria come Central Park  a New York. "Possiamo dire che questo spazio della città ha davvero poco da invidiare al centro della Grande Mela". Testo e musica di Giuseppe Falcomatà, peccato che la stonatura sia tale da imbarazzare anche l'orecchio meno educato. Certo, potrebbero anche essere interpretate come frasi innocue, in fondo le parole, anche quelle meno aderenti alla realtà, hanno un peso specifico azzerato nel circo della politica (se questa modalità di esercitarla lo fosse). In realtà, sulle bucce di banana che costellano la perigliosa strada attraversata dal sindaco si cela qualcosa di ben più inquietante: la patologica assenza del culto della verità che, per fortuna, non coinvolge l'opinione pubblica, essa sì sepolta dalla catastrofe civile. Una comunità smarrita che assiste ormai con un sorriso disincantato all'ennesima scenetta da avanspettacolo interpretata da personaggi ancora in cerca d'autore e, per questa ragione, impegnati a profondere a piene mani nel ricco repertorio della farsa. Seguendo questo canovaccio, il finale è scritto: prima della fine del mandato Falcomatà guarderà Dio occhi negli occhi e, con somma sufficienza, gli concederà la licenza di occupare parte del Paradiso, meglio noto con il nome di Reggio Calabria.  

Isola pedonale h24 questa sconosciuta: a Serra il turismo è solo un'idea trascurabile

Ovunque, ma non a Serra San Bruno. Vagare per l'Italia è condizione sufficiente per rimanere sconcertati davanti alla miopia di Amministrazioni Comunali che, pur nella diversità di "colore", condividono la medesima impostazione confermata negli anni: l'isola pedonale h24 non s'ha da fare. Quel che conta è vendere fumo in campagna elettorale, del resto spruzzare qua e là qualche schizzo astratto sotto il mantello protettivo della parola "turismo" è a costo zero e non presenta gli effetti collaterali prodotti da una decisione che, banale e doverosa per quanto sia, avrebbe il pessimo retrogusto di causare mal di pancia a qualche commerciante. E  Dio non voglia che questo succeda: potrebbero venire a galla debolezze e frizioni polemiche da evitare come la peste. Era il 19 agosto dello scorso anno quando pubblicammo un articolo (leggi qui), accompagnato da una foto eloquente: pensieri ed immagine che servivano, era questa l'illusione, per dare uno scossone preventivo a chi, premiato dalle urne, si sarebbe trovato, da lì a qualche mese, nella posizione di gestire le sorti della cittadina bruniana. E anche questo, aggettivo, dai chiari connotati religiosi, che siamo abituati pigramente ad utilizzare, appare sempre meno adatto a descrivere le caratteristiche reali di Serra San Bruno. Già qualche decennio addietro, giunta al bivio tra due possibili strade da percorrere, ha scelto di infilarsi lungo quella sbagliata, un percorso di banale normalizzazione che l'ha progressivamente svuotata delle sue suggestioni culturali e naturali. Eppure, coloro che coltivano l'ambizione e l'incoscienza di porsi a guida di una comunità, piccola o grande che essa sia, hanno un unico dovere: essere illuminati da una visione che li porti per mano verso il raggiungimento degli obiettivi, a breve, medio e lungo termine. Affinché quest'idea s'inveri nell'azione quotidiana, però, è indispensabile che il faro del sogno rimanga acceso giorno e notte. Spegnerlo per la paura di rimanerne accecati non è un atteggiamento prudente, ma il segno, evidente, di mancanza di coraggio. Il sentiero da battere, quello legato alla ferma volontà di incrementare le presenze turistiche e presentarsi con "l'abito buono" agli ospiti, è rimasto, invece, desolatamente sconosciuto. Per undici mesi Serra San Bruno dovrebbe vivere programmando, ideando le forme più adatte per riempire di turisti ogni vicolo del centro storico, ogni metro quadrato della strada che conduce alla Certosa, a Santa Maria. Quello che è stato fatto nel corso del tempo è stato l'esatto contrario: svuotare le campagne da rimpinzare con cemento fino alla nausea e, contemporaneamente, assistere con un moto di passiva rassegnazione, all'abbandono irresponsabile di edifici ormai diroccati e prossimi a trasformarsi in macerie. Mai qualcuno, nemmeno fra gli amministratori appena insediatisi, che abbia elaborato ed attuato un piano organico per rendere desiderabile la permanenza nella città della Certosa. Già, della Certosa e, nonostante la magnificenza, simbolica ed architettonica della "casa dei monaci" e delle chiese che arricchiscono il cuore di Serra San Bruno, è l'estemporaneità a spadroneggiare. "Chi vuole venga, le porte sono aperte, ma è non affar nostro, non siamo mica tour operator". Nessuno ha pronunciato queste parole, ma nella sostanza è come se lo facesse ogni giorno. Indipendentemente dalle emergenze quotidiane che tolgono il respiro con una manovra a tenaglia prodotta dalla penuria di risorse economiche e dall'incapacità nefasta delle gestioni precedenti, è gravissimo che, nei fatti, non si colga l'importanza di individuare quello estivo come il periodo in cui fare cassa a beneficio dell'intera popolazione. Come sia possibile non capirlo resta un mistero insondabile: Serra, proprio per i gioielli, naturali ed opera dell'uomo di cui si fregia, non può e non deve essere considerato un paese come tanti altri in cui può rivelarsi sufficiente un'azione amministrativa di piccolo cabotaggio. Si lasci ad altre località, vicine e lontane, la possibilità di limitarsi ad affrontare le contingenze di scarso valore strategico. Sottrarsi al destino di essere, per sorte, su un gradino di alterità, è colpa imperdonabile. Perseverare nell'errore, per calcoli di basso profilo, di non qualificare degnamente la propria vetrina, sarebbe uno scarabocchio confuso, non un biglietto da visita da esibire a testa alta. Liberare per l'intera giornata la stretta via che raccoglie migliaia di persone nelle affollate settimane a cavallo di Ferragosto dal giogo incivile delle lamiere di auto inquinanti è un dovere ineludibile verso la Bellezza. Alla responsabilità che grava in capo al sindaco Luigi Tassone non è possibile sottrarsi neanche facendosi scudo con il goffo palliativo di impedire l'accesso nel "salotto buono" a motori e gas di scarico per qualche ora serale o nei giorni immediatamente a ridosso del 15 agosto. E' urgente un colpo di reni che dia il senso visibile della discontinuità. Rendere il Corso Umberto I accogliente e piacevolmente fruibile durante il prossimo mese sarebbe l'abbrivio migliore per guadagnare consensi nell'opinione pubblica, in dosi ben più massicce delle lamentele che ne deriverebbero.

Allontanate Zimbalatti da quel cestino di Roma e informatelo: Reggio è sudicia

Sì, qualcuno riesce, con soave indifferenza, a scendere financo sotto la soglia minima della decenza e lo fa pubblicamente, senza remore, insensibile ai limiti imposti dal senso del pudore che dovrebbe accompagnare come un'ombra un qualsiasi amministratore di una città disastrata e lercia come Reggio Calabria. A gravarsi dell'ingrato compito di oltrepassare la linea gialla dell'irresponsabilità, personale e politica, è stato (questa volta) Nino Zimbalatti, che della Giunta Falcomatà è delegato all'Ambiente (?), Sport, Salute e Benessere (??), Igiene Pubblica (???) e Decoro Urbano (????). Scartando le sparute truppe composte da manichei ossessionati dal passato ed in servizio permanente effettivo (per amore di verità più attivi sui social network che face to face), neanche le forze speciali dei migliori eserciti del mondo riuscirebbero a scovare un solo reggino disposto, anche sotto la concreta minaccia di essere torturato, a sostenere la tesi che la città si presenti, agli occhi ed al naso, con un livello di pulizia appena superiore ad un qualsiasi slum africano. Eppure, anche davanti ad uno scenario immondo (in tutti i sensi) di cui è direttamente colpevole, l'augusto rappresentante dell'Esecutivo di Palazzo San Giorgio ha trovato la via rapida per una caduta di stile che la dice lunga, per l'ennesima volta, sullo  standard medio dell'attuale classe politica reggina (al netto, è sempre opportuno precisarlo, delle lodevoli eccezioni presenti, in corpo, in spirito e con la schiena ben dritta). L'incredulità per la performance è ingigantita dalla circostanza che "il nostro" dovrebbe essere, per anagrafe e storia politica, la chioccia dei giovani virgulti vaganti lungo i corridoi municipali. Ma a scivolare nel cassonetto, sempre pieno, dell'assalto, ottuso ed irrispettoso, nei confronti degli avversari è stato proprio lui, l'unico in tutta Italia che, per il ruolo assunto in seno all'Amministrazione di Reggio Calabria, avrebbe dovuto inchinarsi al buongusto, mai sufficiente, del silenzio. Nel cuore della notte tra il 4 ed il 5 luglio l'attento osservatore dell'altrui sporcizia ha pubblicato su Facebook una foto che immortala un cestino nel cuore di Roma, colmo fino a traboccare sul marciapiede, di cartacce e lattine.. Una scena che la Capitale non può e non deve permettersi di regalare né oggi né mai, ma il lascito delle fallimentari gestioni di centrodestra e centrosinistra è talmente ingombrante da aver offerto nel corso degli anni chicche ben più indegne di quella propinata da Zimbalatti. Fosse stato un qualsiasi cittadino dell'Urbe a lamentarsi poco male: certo, sarebbe stato difficile non porsi delle domande su buona fede ed onestà intellettuale, ma, è noto, la fredda analisi e la lucida riflessione analisi sono articoli che non vanno di moda in un'epoca dominata dalla bieca faziosità. Ma che, addirittura, l'assessore all'Igiene (????) ed al Decoro Urbano (?????) di Reggio Calabria si permetta di ironizzare su un cestino colmo, dimenticando la vergogna che ricopre ogni angolo, ogni strada, ogni zona della città dello Stretto ridotta ad enorme discarica abusiva (metropolitana, però), è un lusso non concessogli. Un attacco scomposto,  rivolto al Movimento 5 Stelle che, innocuo dettaglio per "Zimba", soltanto a partire dalla giornata di domani consacrerà il trionfo elettorale nella Città Eterna con la prima seduta del Consiglio Comunale e contestuale presentazione della Giunta che affiancherà Virginia Raggi in una battaglia estenuante. Una sfida da far tremare i polsi, il cui esito non è scontato, e finalizzata a restituire dignità ad una Roma che, citando De Gregori, "sembra una cagna in mezzo ai maiali". Zimbalatti e compagni, da una parte, si esercitano nella patetica cantilena quotidiana secondo cui in riva allo Stretto il "male assoluto" è incarnato dalle nefandezze risalenti all'era scopellitiana che riverberano effetti devastanti anche a distanza di anni. Una nenia talmente noiosa da provocare gravi amnesie relative a fatti di vita vissuta, compreso quello di essere titolari della gestione amministrativa dell'Ente da ormai 20 (venti) mesi. Certo, i risultati imbarazzanti fin qui ottenuti non aiutano a riacquistare la memoria. Dall'altra, ed il cattivo gusto esibito nell'occasione dal rappresentante della Giunta Falcomatà è emblematico, si scagliano contro un'Amministrazione che non ha ancora assunto le redini di un'altra città, peraltro "leggermente" più complicata da governare. La preoccupazione maggiore che se ne ricava, tuttavia, è di diverso tenore: se un assessore reggino (ad Ambiente, Igiene e Decoro Urbano) manifesta il proprio stupore scandalizzato per un cestino nel centro di Roma dal quale fuoriescono cartacce e lattine, è lui stesso, inconsapevolmente, ad apporre la propria firma sulla tumulazione della sua città seppellita da distese di rifiuti. E' lui stesso  a consegnare ai posteri la certificazione originale alla tesi, rifiutata con veemenza dagli autoctoni nemici della barbarie incivile, che vuole Reggio città della "Zimba".

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