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Polemiche stroncate: Crocifisso già risistemato nell'Aula consiliare di Reggio

In politica, come noto, vale tutto, o quasi, ma oltrepassare i confini delle prudenti leggi del buonsenso rappresenta un esercizio spericolato. La vorticosa bufera alimentata da un comunicato che il consigliere comunale di Forza Italia, Massimo Ripepi, ha redatto nella giornata di domenica ne è fedele testimonianza. Oggetto della diatriba, subito soffocata dall’evidenza dei fatti, è il Crocifisso appeso sulla parte dell'Aula consiliare di Reggio Calabria. L'esponente di Forza Italia aveva, infatti, colto l'occasione della momentanea rimozione, notata durante la cerimonia allestita in occasione dell'intitolazione dell'Aula a Pietro Battaglia, per avventurarsi in una battaglia contro l'Amministrazione cui domandava con decisione: "Che il Crocifisso venga riposizionato al più presto laddove è sempre stato". Inerpicandosi in avventate previsioni del futuro, Ripepi, aveva avvertito: "Se non sarà prontamente riposizionato, vuol dire che non è stato un imprevisto dovuto ai preparativi frenetici della cerimonia, ma è stata l’opera di un occulto regista che ha operato di nascosto ed indisturbato sin dal giorno del Consiglio in cui è stato approvato il registro delle unioni civili. Non sono d’accordo con questo anticristiano regista". Considerazioni e pensieri che oggi sono stati smontati dal presidente del Consiglio Comunale, Demetrio Delfino. “In assenza di argomentazioni politiche solide, è triste assistere a becere strumentalizzazioni della fede religiosa da parte di chi non perde occasione per professarsi più cristiano degli altri”. Sono state parole perentorie e dirette quelle utilizzate da Delfino per replicare alla nota diffusa da Ripepi. “Se soltanto, Ripepi, avesse avuto il buongusto e la cortesia di informarsi, anche con una semplice telefonata, circa i motivi del temporaneo spostamento del Crocifisso, avrebbe avuto l’opportunità di sapere che si è trattata di una questione esclusivamente tecnica, peralto già risolta”. Demetrio Delfino coglie l’occasione per spiegare i passaggi, elementari, della vicenda: “Quando, giorni fa, furono svolti i lavori di pitturazione dei muri dell’Aula, il Crocifisso si macchiò di pittura. Di conseguenza, nel momento in cui gli addetti, in vista dell’epigrafe dedicata a Pietro Battaglia che campeggia adesso sulla parete, hanno avuto la necessità di spostarlo, si sono resi conto delle pessime condizioni in cui esso versava. Nella mattinata odierna, dopo aver ripulito e restituito decoro all’oggetto sacro, abbiamo provveduto alla sua riaffissione”. Il presidente del Consiglio Comunale non ha nascosto il fastidio per la polemica montata ad arte dal consigliere Ripepi. “La sua è stata una caduta di stile evitabilissima, sarebbe bastata un po’ di pazienza in più per vedere con i propri occhi il ripristino del crocifisso, da noi peraltro già programmato senza il suo inutile intervento, teso forse a ritagliarsi un angolino nel mare magnum dell’informazione. Da parte nostra vi è stata solo la volontà, nel massimo rispetto dell’oggetto sacro, di ridare ad esso dignità e decoro. Prima di gridare “al rogo degli eretici” dovrebbe, inoltre, rammentare il “pio Ripepi”, che Gesù Cristo è in ogni luogo dove vigono il rispetto, le buone azioni, i buoni sentimenti e l’attenzione per gli ultimi, anche senza la necessità – conclude Delfino - che esso venga rappresentato in simboli o oggetti sacri”. Temendo, come si evince dalla lettura della nota scritta, che l'Amministrazione fosse in preda ad anacronistici, quanto misteriosi, rigurgiti antireligiosi, il consigliere può, quindi, tornare a dormire sonni tranquilli pensando alla banale ragione del brevissimo dislocamento del Crocifisso.

Reggio onora la Storia: Aula consiliare intitolata a Pietro Battaglia

Dando seguito al provvedimento deciso all'unanimità il 20 aprile, stamattina è stata formalizzata solennemente l'intitolazione dell'Aula del Consiglio comunale di Reggio Calabria a Pietro Battaglia. Scomparso nel 2004 all'età di 74 anni, Battaglia fu sindaco della città dello Stretto dal marzo del 1966 al novembre del 1971 e, per un semestre, nel 1989. Il suo nome è indelebilmente legato alla storia di Reggio Calabria grazie ad una biografia che si intreccia in modo inestricabile con gli eventi susseguitisi per decenni nell'estremo lembo della penisola. Sebbene abbia ricoperto anche gli incarichi di consigliere ed assessore regionale e sia stato deputato della Democrazia Cristiana dal 1987 al 1992, è inevitabile associare la sua figura a quella di Primo Cittadino e, in particolare, alla centralità che rivestì all'epoca della Rivolta di Reggio, per mesi infilatasi nelle vene delle irresponsabili contraddizioni dello Stato italiano. Un moto di ribellione sociale al diktat emerso da accordi politici trasversali che imponeva Catanzaro come capoluogo di Regione. La popolazione rispose compatta all'appello lanciato dall'allora sindaco a Piazza Duomo. Una folla che proprio in quella calda giornata estiva acquisì la consapevolezza di ciò che stava per esserle inflitto grazie alle parole pronunciate dal Primo Cittadino in quello che ancora oggi si ricorda come il "Rapporto alla città". La passione politica, le capacità amministrative ed il ferreo carattere di Battaglia impedirono che la città subisse passivamente scelte assunte con carattere autoritario. L'esito delle trattative tra un pezzo d'Italia e Roma, condotte dal Governo anche con l'utilizzo dei carri armati, si concretizzò con l'assegnazione a Reggio della sede del Consiglio Regionale. Gli accordi, rispettati solo parzialmente, prevedevano, a dire il vero, anche un'azione forte dello Stato volta a creare sviluppo economico nella provincia di Reggio Calabria. I decenni successivi, tuttavia, dimostrarono che nulla fu compiuto per rendere solido il tessuto occupazionale nell'intera area andando a riempire ulteriormente il cestino delle promesse non mantenute. La costante attività politico-amministrativa di Battaglia, tuttavia, non si esaurì, con quelle vicende che marchiarono a fuoco la comunità reggina. E' al suo impegno che si deve, infatti, l'istituzione del "Decreto Reggio", un provvedimento normativo concepito per stanziare risorse finanziarie utili alla realizzazione di opere pubbliche indispensabili. Tutto questo, ed altro ancora, aleggiava oggi tra gli scranni del Consiglio Comunale, dove, sindaco Giuseppe Falcomatà in testa, si è voluto compiere un altro passo verso la riappropriazione dei pezzi fondanti dell’anima collettiva di un popolo. A sottolineare l’importanza della giornata odierna era sufficiente scorgere i tanti volti noti presenti: dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti, Marco Minniti, al presidente della Regione, Mario Oliverio; dal presidente del Consiglio regionale, Antonio Scalzo, al presidente della Provincia, Giuseppe Raffa. Tutti a fare da cornice all’orgoglio composto e sobrio dei familiari di Pietro Battaglia che hanno voluto omaggiare l’Amministrazione e la città facendo loro dono del nuovo gonfalone. Ad aprire la cerimonia è stato Demetrio Delfino, presidente del Consiglio comunale, il quale, ricordando quel 5 luglio del 1970 in cui il sindaco si rivolse alla sua gente, si è soffermato sul significato connesso alla unanime volontà di intitolargli l’Aula. Un simbolico “gesto di riconciliazione”, ha detto Delfino, rispetto alle divisioni che avvelenarono quella fase storica di Reggio e della Calabria. Una interpretazione che è stata il filo conduttore degli interventi successivi ed ai quali i pensieri manifestati da Falcomatà hanno aggiunto un sovrappiù di sentimento intimistico, fissato sulla difficoltà di essere “figli di”, una condizione resa complicata dal fatto che, ha ammesso il sindaco, “ti è chiesto qualcosa in più proprio per non lasciare il dubbio che ti sia stato regalato niente”. Una condizione che accomuna lui, portatore dell’eredità di Italo, altro sindaco unito alla propria città da un amore mai interrottosi, agli eredi di Battaglia. A loro nome, a prendere la parola è stato il figlio Mimmo, consigliere regionale del PD, che con sincera emozione ha voluto ringraziare ogni singolo consigliere comunale per il voto espresso a favore dell’intitolazione dell’Aula consiliare al padre. Le parole di Oliverio, invece, hanno contribuito a disegnare il mosaico di un profilo umano e politico, quale quello di Battaglia, che, come ricordato dal presidente della Regione, ha dovuto subire anche il peso di una ingiusta detenzione. Una parentesi che lo ha visto uscire a testa alta e con la specchiata moralità di sempre. A chiudere il cerchio, inquadrando storicamente l’opera dell’ex Primo Cittadino è stato Marco Minniti. L’esponente del Governo Renzi, rivelando i primi vagiti del rapporto con Battaglia, avviato quando il sottosegretario era ancora agli albori della propria carriera all’interno del PCI, un partito ostile alla Democrazia Cristiana di cui l’ex parlamentare era esponente di primissimo piano, ha posto l’accento sull’enorme rispetto umano allora imperante anche tra acerrimi avversari. Un tratto distintivo della politica che fu e difficilmente rintracciabile in quella attuale. Battaglia, nell’analisi evocata da Minniti, “ha impedito che Reggio si separasse culturalmente e politicamente dalla Calabria”. “La Calabria – è stato l’accorato appello del sottosegretario – deve capire che Reggio è come il suo specchio. Se Reggio sta bene, sta bene la Calabria, se sta male sta male la Calabria". Troppo spesso, ha rimarcato, Reggio ed il resto della regione si sono guardate con aperta diffidenza. Battaglia, ha riconosciuto l’esponente del Partito Democratico, poteva vantare un legame viscerale con “una città complicata e impegnativa" per la quale si è speso facendosi promotore di quel “Decreto Reggio che è stato l'ultimo intervento diretto del Governo per il Mezzogiorno. Una misura che trovò sponda a Roma in un periodo in cui la città usciva dalla infernale guerra di mafia, una sfida cruenta combattuta per le strade a colpi di bazooka e con le autobomba che saltavano in aria come a Beirut. Finanziare la rinascita della società reggina era, pertanto, un dovere morale per levare l’acre odore di morte e saldare un debito storico con la città. Istanze che Battaglia si mise sulle spalle per restituirle decoro e dignità.

 

Unioni Civili a Reggio: grottesco invocare la scomunica dell’Arcivescovo

Sì, nel 2015, ci sono persone e movimenti che invocano la scomunica nei confronti di pubblici amministratori "colpevoli" di aver acconsentito all'adozione del Registro delle Unioni Civili in una città italiana. Episodi che sarebbe semplice derubricare a ridicoli scivoloni, ma che meritano qualche riga soltanto perché superano abbondantemente la soglia accettabile del buonsenso. Teatro della querelle è Reggio Calabria dove il Centro Studi Tradizione e Partecipazione si è lanciato in una spericolata operazione tesa a tirare dalla tonaca Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, dal luglio del 2013 Arcivescovo in riva allo Stretto dopo aver assolto per cinque anni al ruolo di guida della diocesi di Locri-Gerace. Animatore e presidente del movimento di estrema destra in questione è Giuseppe Agliano, scopellitiano di ferro e lesto a rispondere "Presente" all'appuntamento dello scorso 28 febbraio in Piazza del Popolo a Roma, quando Matteo Salvini ha convocato il suo popolo per iniziare a mettere radici anche nelle, un tempo ostili, terre al di sotto del Po. Un modo come un altro, per Agliano, per certificare l'esistenza in vita di un'area, quella che fa capo a Giuseppe Scopelliti, allo sbaraglio nell'ultimo anno dopo la condanna a sei anni inflitta in primo grado all'ex presidente della Regione e la successiva bocciatura elettorale in occasione delle Europee celebratesi il 25 maggio. "Da qualche giorno - scrive ironicamente Agliano - Reggio è diventata città civile e moderna. Fino a giovedì scorso non c’eravamo accorti di vivere in un villaggio di cavernicoli barbuti, con la clava in una mano e con l’altra impegnati a trascinare le donne dai capelli". "Ora - continua il comunicato utilizzando un tono sarcastico - siamo invece dei reggini civilizzati perché approvare il Registro delle Unioni Civili, atto illegittimo ed inutile, ci ha reso un popolo più avanzato e al passo con i tempi, in cui tutto funziona perfettamente. Noi adesso viviamo in una città civile e moderna, una città dove può accadere tutto ed il contrario di tutto senza che nessuna coscienza “istituzionale” si senta disturbata". Proseguendo nella lettura della nota, ci si imbatte nell'inevitabile richiamo alla "sacralità della famiglia", prima di essere colpiti dalla stoccata finale. "Ci auguriamo, tuttavia, che - ecco il colpo di scena che lascia senza fiato gli ignari spettatori della memorabile interpretazione delle dinamiche sociali da parte di Agliano - almeno Sua Eccellenza l’Arcivescovo, dopo aver “battezzato” la Giunta comunale in quel di Santa Venere, dopo aver “raccomandato” questi moderni e civili amministratori alla Santa Patrona nel corso della Processione settembrina della Sacra Effige, dopo aver provato a “responsabilizzare” il Primo Cittadino attraverso il rito della Confermazione, si renda conto davvero con chi ha a che fare e, almeno li scomunichi”. Limitandosi a riportare fedelmente la definizione contenuta nell’Enciclopedia Treccani, è opportuno ricordare che la scomunica è la “censura ecclesiastica che esclude il battezzato dalla comunione dei fedeli, vietandogli, in particolare, di amministrare e ricevere i sacramenti. Presuppone una grave responsabilità morale, cioè un peccato grave, tale da compromettere l’unione con la Chiesa, corpo mistico di Cristo”. E ancora, per meglio specificare il concetto e comprendere l’abnormità dell’appello rivolto dal Centro Studi all’Arcivescovo, è bene ricordare che “La scomunica è la più grave delle censure ecclesiastiche poiché comporta l’esclusione dalla comunione ecclesiale acquisita mediante il battesimo”. Andando brevemente a ritroso nel tempo, salta alla mente che il 21 giugno del 2014, Papa Francesco, in visita pastorale in Calabria colse l’occasione per scomunicare i criminali affiliati alla ‘ndrangheta. Prendere coscienza che, a distanza di undici mesi, qualcuno chiede che la medesima pena sia applicata ai consiglieri comunali di Reggio macchiatisi del “grave peccato” insito nell’approvazione del Registro delle Unioni Civili, lascia intuire che la misericordia, cui è dedicato il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco, sia un moto dell’anima che tutti, credenti e non, abbiamo la necessità di alimentare con costanza, soprattutto verso coloro che camminano lungo il sentiero pericoloso tracciato dal fantomatico “Modello Reggio

Fine del regno di Praticò sullo sport calabrese: bilancio fallimentare

Cosa sia rimasto dei quattordici anni del regno con cui Mimmo Praticò ha marchiato col suo nome lo sport calabrese è difficile da dire. Di più, è difficile da individuare. Caduto sulla buccia di banana del commissariamento della sezione regionale del CONI, piazzata lungo il suo cammino dai pochi che non si sono chinati riverenti alla sua gestione, annuncia oggi, all'indomani della decisione del Collegio di Garanzia del Comitato Olimpico che: "Sicuramente proseguirà il suo impegno nello sport". Una minaccia, più che una promessa, sebbene le doti umane ed il garbo dell'uomo siano fuori discussione. Meno indiscutibile risulta essere, invece, la conduzione concreta da parte di Praticò del carrozzone a cinque cerchi nella nostra regione. Un approccio che si è fondato sulla relazioni personali e non su capacità manageriali, caratteristica indispensabile per chi vuole cimentarsi nel terzo millennio con la moderna complessità del mondo sportivo. E' questo che è mancato nella fase segnata dal suo impero, è questo che sarebbe servito per essere autenticamente apprezzati anche dalle parti di Piazza Lauro De Bosis, a Roma, sede nazionale del CONI. L'assenza di una visione strategica, la mancanza di una programmazione capace di convogliare le intelligenze locali in un progetto di ampio respiro, hanno impedito in più di una circostanza che dalla Capitale arrivassero le risorse necessarie per attuare idee e progetti a cui l'immobilismo ha impedito di dare seguito. A titolo meramente esemplificativo del personalismo verticistico che ne ha tracciato la via, sarebbe sufficiente ricordare l'oceanica e roboante presentazione della Scuola dello Sport, allestita il 13 febbraio 2008 all'interno di un Auditorium Versace di Reggio Calabria traboccante di gente affluita da tutta la Calabria. Un evento, impreziosito dalla presenza di Gianni Petrucci, all'epoca presidente del CONI. Un marziano che fosse atterrato in quel momento sul pianeta terra non avrebbe avuto dubbi e, ubriacato dall'ottimismo e dall'entusiasmo che regnavano in quella sala, avrebbe immaginato si stesse parlando di un cosa fatta, di un gioiello di cui fregiarsi già nell'immediatezza. In realtà, come nella migliore tradizione della politica italiana, non fu data continuità tambureggiante a quella spettacolare iniziativa che tanto sapeva di kermesse elettoralistica. Fu necessario, infatti, arrivare all'aprile 2010 per assistere al taglio del nastro da parte delle autorità accorse nella frazione collinare di Gallina, dove è stata data ubicazione alla Scuola dello Sport. A questo punto, il famoso extraterrestre, pur avvezzo ormai alle abitudini umane, avrebbe avuto la certezza, al di là di ogni ragionevole perplessità, che finalmente, all'esito di un iter infinito, le porte della struttura sarebbero state finalmente spalancate per formare al meglio le figure sportive professionali "made in Calabria". Anche in questo caso, deluso, avrebbe dovuto recedere, suo malgrado, dalle convinzioni maturate, perché, per completare l'opera sarebbe stato indispensabile raccattare un altro paio di milioni di euro. Una volta superato questo step, sarebbe stato nell'ordine naturale delle cose pensare di farla decollare individuando le persone che, per competenze e studi, avrebbero potuto trovare un approdo naturale in quel centro di eccellenza, almeno sulla carta. Nel corso della lunga vigilia, tanti giovani meritevoli avevano dato credito a parole e promesse, scritte sulla sabbia. Non si dovette attendere molto, infatti, per rimanere investiti dall'ennesimo tentativo di amministrazione privatistica di un ente di diritto pubblico, qual è, fino a prova contraria, la casa dello sport italiano. Senza che nessuna forma di evidenza pubblica e nel segreto più fitto fu dato il via alla procedura di selezione dei docenti. Un'operazione che non andò in porto perché nella Capitale stopparono le candidature di figure del tutto sprovviste dei requisiti richiesti e beneficiarie, esclusivamente, della condizione preferenziale di natura "familiare" con alcuni big della politica locale. Nel gennaio del 2013, poi, per una sorta di nemesi, la candidatura di Tino Scopelliti, fratello dell'allora presidente della Regione, alla guida del CONI calabrese, fece di Praticò il campione della sinistra autoctona. Di fronte all'ennesimo trionfo il tripudio che si levò da quella parte politica fu sproporzionato. Non pareva vero che uno Scopelliti potesse uscire sconfitto da una competizione elettorale, sia pure sui generis come quella che avrebbe posto le basi per il quarto mandato dell'imprenditore reggino sulla tolda di comando ormai da dodici anni. A dare un colpo di maglio alla sua inarrestabile carriera nello sport, iniziata da dirigente della Reggina e che in un'occasione svoltò verso un incarico assessorile nella Giunta comunale di Reggio Calabria (naturalmente con delega allo Sport), ci ha pensato un drappello di componenti della Giunta regionale del CONI. Un gruppo ribellatosi nel marzo scorso con la formalizzazione delle dimissioni, "manifestando e comunicando, agli organi preposti, che non c'erano più le condizioni per un attività proficua così come si conviene a un organismo collegiale democraticamente eletto". Giunti al culmine della soglia massima di tolleranza, nella circostanza in cui hanno reso pubblica la decisione, si sono espressi con toni e motivazioni inappellabili: "Il disagio che si è vissuto all'interno del Coni Calabria era tale che le nostre dimissioni sono state precedute dalle dimissioni del coordinatore tecnico regionale a settembre 2014, dalle dimissioni del revisore dei conti, dalle dimissioni del vice presidente della Giunta. Tutte situazioni determinate dalla gestione monocratica e poco rispettosa dell'organo collegiale e delle funzioni dei vari componenti". Un passo, il loro, che si è rivelato decisivo per modificare il placido e sonnacchioso incedere dello sport in Calabria il cui sigillo è stato rappresentato dalla bocciatura, sancita dal Collegio di Garanzia, del ricorso presentato dallo stesso Praticò.

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