Il gioco perduto "di li coppariedhi"
- Written by Mirko Tassone
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Terminato il lungo “letargo” invernale tra le aule scolastiche, i bambini serresi uscivano all’aria aperta per popolare le strade e le piazze. La conformazione urbanistica del centro storico di Terravecchia, con una piazza per ogni “ruga” favoriva la socializzazione e stimolava la competizione. La piazza che, offriva la libertà di stare tutti insieme, seppur sotto l’occhio sempre vigile di qualche adulto, faceva nascere e sviluppare l’identità. Ciascun gruppo era, infatti, legato al suo rione. La Pisciaredha, Licheli, Galedha, solo per citarne alcuni, erano i ritrovi di bambini e ragazzi che spesso davano vita a sfide sia individuali che di gruppo. Per ovvie ragioni, il centro storico serrese non è più quello di qualche anno fa. I bambini sono diventati una rarità e quando ci sono, sono troppo impegnati con lo smartphone per giocare per strada. Tutta una serie di giochi che si era tramandata per generazioni è, quindi, svanita nel nulla. Nei giorni scorsi ci siamo occupati del gioco delle nocciole (li nucidhi), di cui non è rimasta più traccia. Analoga sorte è toccata alle partite che si facevano con “li coppariedhi” (i tappi a corona) e che tenevano i bambini inchiodati pomeriggi interi. L’origine del gioco non è antichissima, anche perché il tappo a corona si è diffuso in Italia soltanto nel secondo dopoguerra. L’arrivo dell’estate favoriva la pratica per due ordini di motivi. Il primo, ovvio, perché si aveva la possibilità di trascorre più tempo all’aperto; la seconda perché aumentava la disponibilità di materia prima. Il caldo faceva moltiplicare, infatti, il consumo di bibite, all’epoca, chiuse esclusivamente con il tappo a corona. La sfida tra i bambini iniziava con una gara di velocità che precedeva di gran lunga l’avvio delle partite vere e proprie. La gara consisteva nell’arrivare prima degli altri nelle cantine dove ci si faceva dare dai gestori i tappi delle bottiglie consumate la sera prima. Per chi abitava alla “Pischiaredha”, l’immancabile punto di riferimento era la cantina “di li Signurini”. Se si arrivava tardi, si era costretti ad allungare il passo per andare da “Zeno di Marianna” o, più raramente, da “Padedha”. Raccolti i tappi ci si armava di martello o di un sasso e si iniziava a battere i tappi per appiattirli, allargando la corona. L’operazione, talvolta, causava il danneggiamento del tappo stesso che, se non aperto in maniera uniforme, doveva essere scartato. Completata l’operazione si poteva avviare il “mercato”, anche perché alla base c’era anche una fine collezionistico. I tappi di Peroni o Dreher venivano scambiati alla pari, segno evidente che nelle cantine il consumo di birra era piuttosto elevato. Di poco più rari, erano quelli della Coca Cola. I più ricercati erano, invece, quelli della gassosa o dell’aranciata prodotte dalla “Fabriella”, l’azienda di Fabrizia che distribuiva direttamente le casse contenenti le bibite. Il tappo verde della “gazzosa” era quello più stimato, per averlo si poteva cederne due o tre di quelli ordinari. Di nessuno valore, perché esclusi dal gioco, erano, invece, quelli senza logo o marchio usati prevalentemente per chiudere le bottiglie contenenti la conserva di pomodoro. Una volta completati gli scambi ci si poteva affrontare con due modalità differenti. Entrambe le versioni erano, in tutto e per tutto uguali ai giochi che i ragazzi più grandi praticavano con le monete. La prima, la più comune, era “alla battimuru” e consisteva nello scagliare a turno il tappo contro il muro. Dopo il primo lancio, ogni giocatore doveva cercare di far avvicinare il proprio tappo a quello che si trovava già a terra; se tra i due tappi c’era una distanza che poteva essere coperta allungando l’indice ed il pollice il secondo lanciatore si aggiudicava “la copparedha” dell’avversario. La seconda variante era detta “alla singa” e consisteva nel tracciare per terra una linea orizzontale verso la quale lanciare i tappi. Vinceva chi si avvicinava il più possibile alla linea. Le sfide andavano avanti, con una certa regolarità, quasi ogni giorno. I più abili riuscivano a mettere su un “gruzzolo” che veniva custodito in una sacchetto per tutta l’estate. Con la fine della bella stagione si cambiava gioco e “li coppariedhi”, conquistate con tanta fatica, finivano inevitabilmente nella spazzatura.
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