Terremoti e ricostruzioni nel golfo di Squillace
- Written by Ulderico Nistico'
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La Calabria è “ballerina”, terra geologicamente giovane, e si sa. Siamo anche al centro di un triangolo di grandi vulcani. Il Golfo di Squillace non è esente da queste sfortunate vicende. Alla metà del IV secolo, un sisma colpì Scolacium. trascorsero secoli di cui non abbiamo al proposito notizie, e si scatenano, dalla fine del XVI secoli, i sette diavoli. Sono molto frequenti i sismi di diversa magnitudine, e alcuni devastanti: 1638, 1693, e quello apocalittico del 1783 con le due scosse di febbraio e di marzo. Come reagirono le popolazioni? La prima risposta, per molto tempo, fu la ricostruzione degli edifici; altri, in particolare i manieri feudali, spesso ormai in disuso, vennero del tutto abbandonati, e i vicini pensarono bene di utilizzarne, più o meno legalmente, i materiali per costruirsi le case. Basta un’occhiata alle piazze di alcuni paesi: Satriano, S. Andrea, Badolato… Si vede bene, dalla forma, che sono stati frutto di riuso. Curiosa e significativa è la denominazione popolare che rimane tuttora per indicare piazza Spirito Santo di Satriano: “A picocca”, la bicocca, la fortezza del principe. Iniziarono a crearsi espedienti antisismici, con l’uso del legno e delle canne (“incannucciata”, in dialetto), e del laterizio per rendere più elastici i muri. Vennero costruiti interi quartieri provvisori, le baracche, toponimo che resta ancora nelle memoria, dove rifugiarsi in caso di pericolo. Il Settecento approfondì la scienza dell’urbanistica anche come risposta alle minacce della natura, e, in Calabria, dei terremoti. Dopo la devastazione del 1783, il governo di Ferdinando IV assunse intanto immediati provvedimenti per prestare soccorso alle popolazioni. Venne inviato un “treno” militare al comando del Pignatelli e con pieni poteri. Superato il momento dell’urgenza venne progettata la ricostruzione, preferibilmente con il criterio di trasferire gli abitati in zone più salubri e accessibili, e con piani regolatori di modello romano. Non mancava l’intento ideologico di creare un mondo nuovo anche scordando le antiche abitudini e gli stessi luoghi. I criteri antisismici furono applicati ai piani regolatori, con distanze di sicurezza tra gli edifici, e larghe piazze e strade. Si fece uso del laterizio in strati di mattoni pieni, ben visibili in tutti i nostri paesi. Tra i centri ricostruiti in tutto o in parte, Borgia e Soverato; tra i luoghi di culto, la cattedrale di Squillace, ricostruita; il convento della Pietà e la Certosa subirono tali danni da essere abbandonati o stravolti nella loro funzione. Non tutto andò così semplicemente. Soverato “Vecchio” è oggi un’area archeologica con pochissimi muri ancora in piedi, e a stento si riconoscono gli edifici. La spiegazione più ovvia, e che fu allora anche ufficiale, è che il sisma sia stato tanto devastante da distruggere ogni cosa. Una versione oralmente tramandata da persone così anziane da averla sentita da nonni testimoni è alquanto diversa: giunsero anche a Soverato, come dovunque, i soccorsi del Regno, e con essi un bel piano regolatore da attuarsi nella collina a sud del Beltrame, dove oggi è Soverato Superiore. E tutti a dichiarare danni e case inagibili anche dove non era così. Ottenuti sussidi per la ricostruzione, trasferiti i Penati, tornarono poi quatti quatti a recuperare qualcosa, e portarono via travi e infissi e porte: donde i seguenti inevitabili crolli. A sostegno di questa tesi, possiamo considerare noi posteri che il terremoto causò una sola vittima. Ben altre conseguenze quelle politiche e sociali della Cassa Sacra. Ma ne parleremo un’altra volta.
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