I riti della Settimana Santa nel Vibonese
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Riceviamo e pubblichiamo un contributo sulle manifestazioni paraliturgiche della Settimana Santa, redatto dal Centro studi Theotokos Religiosità Popolare.
"La Settimana Santa in Calabria è caratterizzata da riti religiosi paraliturgici di origine spagnola che si perpetuano da secoli.
Il barocco spagnolo esalta quella che possiamo definire come la spettacolarizzazione del supplizio di Cristo nella commemorazione della sua Passione e Risurrezione.
Luigi Maria Lombardi Satriani sottolinea in proposito il proverbiale “spagnolismo” che delinea i tratti significativi della “Settimana Maggiore” in Calabria.
In tutta la Calabria si registrano riti liturgici e paraliturgici con l’allestimento di macchine processionali da parte delle confraternite all’insegna della tradizione locale.
Da Serra San Bruno, dove Venerdì Santo, viene commemorata la deposizione del corpo di Cristo dalla croce (Schiovazziuni) ad opera dell’Arciconfraternita di Maria dei Sette Dolori, a Pizzo Calabro, Vibo Valentia, Sant’Onofrio, Dasà, Soriano Calabro e ovviamente in tutti i piccoli centri della Calabria: suggestiva è la cosiddetta “Chiamata da Madonna” a cui viene consegnato il Cristo morto mentre le donne intonano i canti di Passione che accompagneranno anche la processione per le vie di ogni paese.
Riti che raggiungono l’apogeo domenica di Pasqua, quando viene rappresentato l’incontro tra la Vergine Santissima e il Figlio risorto. Ogni comunità chiama questa particolare manifestazione a modo proprio. La si sente chiamare Cumprunta, Ncrinata, Affruntata, Svelata e così via. Nello svolgersi di questo suggestivo incontro, secondo il Centro Theotokos, si trova simboleggiata la liberazione delle donne: perché cadendo il mantello nero, cade la morte di Cristo che è anche la morte della violenza e del dominio dell’uomo sull’altro uomo. In tutta la Calabria la sacra drammatizzazione di questo evento popolare è una prerogativa quasi esclusiva della domenica di Pasqua.
A tal proposito, è bene ricordare che i domenicani fin dal loro arrivo a Soriano Calabro (1510), tramite Padre Vincenzo da Catanzaro, svolsero la loro opera di evangelizzazione tra le valli del Mesima e del Poro, alimentando l’humus su cui sono nate le Confraternite del SS.mo Rosario. All’alba del 15 settembre del 1530, vent’anni dopo la fondazione del convento domenicano, l’eco del nome di Soriano risuonò in Italia, in Europa e persino in America Latina, grazie all’evento relativo alla traslazione della Celeste Icona di San Domenico di Guzmán. Tale evento conferì autorità al santuario sorianese, che stabilì rapporti privilegiati con gli ambienti religiosi spagnoli devoti della Santa Immagine, dispensatrice di miracoli e grazie. Proprio l’opera di catechizzazione avviata dai frati Predicatori e dalla Confraternita del Rosario da loro fondata, diede inizio a in loco a questa specie di ‹‹teatro paraliturgico›› rivolto al volgo bisognoso di lumi, già in difficoltà nel cercare di seguire le celebrazioni liturgiche in latino. Basti pensare ai cosiddetti “concetti predicabili” di cui scrive Benedetto Croce: Padre Antonino Barilaro O.P. riporta che tali considerazioni furono stampate proprio a Soriano per volere dei domenicani. In base a questi documenti, Soriano dimostra di avere una storia antecedente rispetto a tanti altri paesi della Calabria, riguardo le sacre rappresentazioni della domenica di Pasqua. Probabilmente, i domenicani e la Confraternita di Gesù e Maria del SS.mo Rosario cominciarono ad allestire questa rappresentazione intorno al 1645; centro di questi eventi religiosi era un lungo viottolo, su cui dopo il sisma del 1659 è stato tracciato il profilo della piazza di fronte al Santuario, sull’attuale corso di via Roma. L’incontro tra Gesù risorto e la Madonna, detto dai sorianesi Cumprunta, sanciva una specie di unificazione tra i due borghi di Soriano distanti tra loro.
Dopo il sisma del 1783 questo evento diventa un rito di rifondazione territoriale. Il profilo barocco della piazza trapezoidale, offre spunti di osservazione sensazionali come ben rileva l’architetto sorianese Nazzareno Davolos. Le Magnifiche rovine sono le quinte della sacra drammatizzazione e testimoniano l’apogeo e il declino del Santuario che nonostante le avversità delle calamità naturali, seguite da quelle degli uomini, rimane ancora oggi centro di spiritualità e di preghiera".
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