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Fusione, Rosi: “Via gli steccati politici, ideologici e campanilistici”

Che non fosse facile era fin troppo evidente, che sorgessero controdeduzioni di carattere certamente non tecnico poteva essere immaginabile. E, d’altronde, “avevamo messo in preventivo le difficoltà e le obiezioni che potevano nascere”. Bruno Rosi sembra deciso ad andare avanti nel progetto di fusione anche dopo gli stop degli ultimi due giorni e si dice “contento di aver stimolato il dibattito” e di riscontrare “la consapevolezza dell’importanza, dell’attualità e dell’ineludibilità dell’argomento”. Ringrazia “i sindaci che hanno preso posizione” e spiega che “il traguardo non è utopistico e se si concretizzasse avrebbe una valenza storica e aprirebbe grandi prospettive”. E’ un’introduzione soft, forse utile a mettere in chiaro che non è il caso di creare scontri fra paesi e idonea ad agevolare il passaggio nel quale il primo cittadino di Serra San Bruno ostenta sicurezza sul fatto che se gli abitanti dell’area interessata “fossero chiamati ad esprimersi in merito mostrerebbero uno spirito positivo”. Gradualmente emerge la volontà di illustrare le proprie ragioni replicando alle schiette dichiarazioni degli omologhi. Rosi sottolinea, infatti, che “non si vedono reali motivazioni circa la perplessità sulla selezione dei futuri attori politici” e specifica che “il progetto è talmente ampio ed ambizioso da consentire la formazione di una classe dirigente innovativa e rappresentativa dell’intero territorio”. Tradotto vuol dire che i timori di una sostanziale predominanza dei politici di origini serresi nelle ipotetiche competizioni elettorali amministrative sono infondati. Più marcata è poi la successiva considerazione: “trovo alquanto strana – asserisce il capo dell’esecutivo della cittadina della Certosa – la presa di posizione di Barbara poiché in precedenza si era detto disponibile ed entusiasta su questo progetto, rammaricandosi, nel corso di una trasmissione radiofonica in cui eravamo presenti entrambi, della sua scelta sul dimensionamento scolastico”. Non manca, infine, un invito rivolto ai sindaci di Brognaturo, Spadola e Simbario “ad approfondire questo tema andando oltre gli steccati politici, ideologici e campanilistici”.

Fusione, Barbara: “Spadola non si farà fagocitare da Serra”

Si fanno strada nuove sensazioni circa l’idea di costituire un unico comune nelle Serre. Prende corpo una sorta di “fronte del no” che non si oppone tanto al progetto quanto ad un partecipante in particolare: la cittadina della Certosa. E dopo Ovidio Romano, è Giuseppe Barbara a dire la sua mettendo ordine sul da farsi. “In linea generale – sostiene il sindaco del paese della Minerva – sono favorevole. Spadola, Brognaturo e Simbario sono già associati e stanno cercando di darsi un’organizzazione condivisa degli uffici. Meno opportuno è il coinvolgimento di Serra San Bruno. Di solito, il pesce grande mangia il pesce piccolo”. Emergono, dunque, delle perplessità dovute al pericolo di essere semplicemente “accorpati”. Per il primo cittadino dell’antico centro montano “c’è il rischio di essere trascurati, di essere considerati delle frazioni. E noi non abbiamo voglia di essere fagocitati”. Ad influenzare il giudizio è anche il “precedente relativo al dimensionamento scolastico” che ha lasciato scottato Barbara, il quale non vuole soccombere daccapo al cospetto delle azioni serresi. “E’ realistico – spiega il capo dell’esecutivo spadolese – pensare ad una perdita di servizi perché in un Comune con quasi 10 mila abitanti il buon funzionamento e la vicinanza al cittadino possono essere intaccati. Preferisco una realtà a dimensione più umana”. Anche la possibilità di intervenire sui problemi sarebbe, a suo avviso, in qualche modo compromessa e su questo aspetto Barbara cita l’esempio del distacco da Sorical che, nell’ipotesi di un grande Comune, sarebbe stata un’operazione “più complessa”. “Oggi – afferma con orgoglio a tal proposito – Spadola usufruisce di acqua cristallina e i disagi sono minimi. Qualche lieve difficoltà si riscontra solo nel periodo estivo quando la siccità si fa sentire”. Parole con le quali lascia intendere che questa mossa, come altre, non sarebbe stata realizzabile se fosse intervenuta una qualche rinuncia all’autonomia. Il vero nodo sembra essere questo: va fatta valere “la nostra dignità di paese” e va salvaguardata “la nostra identità”. È un alt perentorio che non concede spazio ad alcuna trattativa.

Call center, i lavoratori: "Rivendichiamo la nostra dignità"

SERRA SAN BRUNO - È buio pesto per i lavoratori del call center di via Catanzaro. Perché si sentono abbandonati da tutti, le loro paure ormai si toccano con mano, la tensione si taglia con il coltello. Sono, però, finalmente riusciti ad aprire un varco in un silenzio che rischiava di assumere i connotati dell'omertà. "Dopo giorni di protesta - affermano in una nota - ormai siamo rassegnati al nostro destino. Dopo il terzo tavolo tecnico al Mise, che non ha portato novità, non sappiamo più che fare. Ci viene chiesto di attendere, di non muoverci, per non compromettere l'ultimo tavolo previsto per l'11 marzo. Siamo stati accusati dagli stessi commissari - spiegano - i quali hanno permesso ad Abramo e a Comdata di vincere la gara con offerte allucinanti che tutto fanno tranne che garantire i livelli occupazionali, di aver mandato a monte i primi tavoli tecnici solo perché abbiamo fatto sentire la nostra voce, solo perché abbiamo lottato per il nostro posto di lavoro". Rammentano le rassicurazioni, che ora sono prive di credibilità perché il committente "a fine commessa, il 30 aprile 2015, ci abbandonerà senza nessun rimorso e senza un grazie". "Oggi - sostengono con rabbia - ci viene chiesto di non lottare ma di continuare a produrre, ci viene chiesto di non disturbare più la classe politica che, come sempre, ha detto tante belle parole, ma di concreto non ha fatto nulla, ci viene chiesto di rimanere immobili accettando la perdita del nostro lavoro e della nostra dignità. Non possiamo nemmeno sperare in qualche ammortizzatore sociale visto il nostro contratto co.co.pro.". Il timore di essere licenziati nell'ipotesi di prosecuzione della protesta comincia a lasciare il passo ad altri sentimenti e genera una rivendicazione che dovrebbe essere scontata: "vogliamo almeno il diritto alla protesta, il diritto al lavoro e soprattutto il diritto alla nostra dignità". 

Ovidio Romano: “Fusione? Sì, ma non con Serra”

L’idea è accattivante, la scelta dei partner è da approfondire. Nel dibattito sulla fusione dei Comuni delle Serre s’inserisce Ovidio Romano che effettua una disamina delle prospettive e offre una franca riflessione che non pecca di trasparenza. Il sindaco di Simbario parte da un’analisi storica e giuridica e spiega che “gli anni recenti sono stati caratterizzati da ripetuti interventi legislativi che hanno sancito l’obbligatorietà della gestione associata delle funzioni degli Enti locali, in particolare se di piccole dimensioni. Sono state introdotte nell’ordinamento – afferma - importanti disposizioni in materia, che interessano un numero elevato di Comuni minori e che necessitano di concretizzarsi in scelte operative urgenti. Se, da un lato, la riforma del Titolo V della Costituzione, valorizzando il peso amministrativo dei Comuni, ha ampliato il numero di funzioni delegate agli Enti locali, ha comportato, dall’altro, l’emergere di problemi di natura organizzativa ed economica in capo agli Enti medesimi. Si è quindi verificata, nel corso degli anni, una sempre maggiore difficoltà nell’organizzare efficacemente l’attività amministrativa in relazione ad un contesto sempre più mutevole e complesso e altri problemi simili si sono sommati all’esigenza di contenere la spesa pubblica ed affrontare l’attuale scenario di crisi, provvedendo al risanamento delle finanze pubbliche”. Dopo questo corposo preambolo, Romano cerca di volgere lo sguardo verso orizzonti lontani e ammette che “sarebbe veramente assurdo, in un contesto del genere, non valutare con attenzione la grossa opportunità che viene data agli Enti locali per cercare di rimediare, almeno  in parte, soprattutto ai tagli eccessivi imposti dallo Stato ai trasferimenti ordinari. La possibilità per i Comuni di aggregarsi tra di loro dando origine ad un’unica entità amministrativa – chiarisce - contempla un aumento del 20% dei trasferimenti stessi oltre a dei bonus aggiuntivi. Il legislatore ha colto l’opportunità di rafforzare le esperienze di collaborazione intercomunale, quali strumenti di razionalizzazione e valorizzazione dell’attività amministrativa con il principale obiettivo di ridurre i costi connessi all’erogazione dei servizi, mediante economie di scala e di esperienza, e, dall’altro, di rendere più efficiente la risposta della pubblica amministrazione alla domanda individuale dei cittadini. La gestione associata, in questo senso, rappresenta una valida opportunità per gli Enti di colmare il deficit di risorse necessarie per affrontare le sfide attuali e per erogare ai cittadini servizi in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni individuali e collettivi”. La successiva deduzione sembrerebbe ovvia e, invece, arriva la messa in guardia poiché “l’evidente vantaggio economico e organizzativo non può e non deve indurre a facili illusioni”. Nel ragionamento dell’esponente di Fratelli d’Italia non c’è spazio solo per i numeri, ma anche per i sentimenti e le radici che paiono rivestire un ruolo preponderante. “I presupposti per una fusione – asserisce infatti Romano - non devono essere esclusivamente di natura economica e organizzativa ma devono necessariamente superare il limite finanziario per invadere il campo sociale, quello della cultura e delle tradizioni e tenere nel giusto conto soprattutto la praticabilità dal punto di vista geografico”. Qui il capo dell’esecutivo del centro montano scopre del tutto le carte e puntualizzata che “sarebbe del tutto scontata la nascita di un solo Comune dalla fusione di Simbario, Spadola e Brognaturo per tutti i motivi elencati ma soprattutto in considerazione del fatto che ormai i tre paesi costituiscono un unico agglomerato urbano e gli interscambi tra le comunità sono tali da rendere omogenee le diverse appartenenze”. Il raggio d’azione sarebbe diverso rispetto a quello che legittima “una possibile fusione anche con Serra San Bruno” in quanto, secondo il parere di Romano, vanno vagliati gli “impedimenti” che prendono le sembianze di  “numerosi fattori non trascurabili”. Quali? Bisogna innanzitutto fare i conti con l’orgoglio simbariano e il primo cittadino specifica che “i paesi satelliti per tradizione e cultura hanno sempre mal sopportato la posizione egemonica del paese intorno a cui gravitano e mai accetterebbero di rendere tale egemonia istituzionale. Anche perché – aggiunge - essendo Serra molto più grande degli altri tre Comuni messi assieme appare assai probabile che la scelta della classe amministrativa sarebbe appannaggio esclusivo dei serresi stessi”. Sembrerebbe una motivazione campanilistica ma Romano preferisce utilizzare una terminologia diversa e argomentazioni che mirano a scacciare l’ombra della superficialità. “Ben vengano – sostiene - le fusioni che riescano a migliorare le condizioni generali di diverse popolazioni, purché queste avvengano nel rispetto delle opinioni di tutti i cittadini interessati. Ottenere una diffusa responsabilizzazione sul progetto di cambiamento dovrà essere compito primario degli organismi politici che andranno a costituire la nuova struttura pubblica e che avranno l’arduo compito di assicurarsi che fattori critici come la distribuzione delle risorse, la capacità di leggere tempestivamente i problemi sui diversi fronti e di ridistribuire dinamicamente le forze in campo,  rimangano costantemente sotto controllo. Da essi dipende buona parte del successo o dell’insuccesso dell’intero progetto di sviluppo. La riuscita di ogni buona pietanza si basa sul sapiente abbinamento degli ingredienti che vanno a comporla. Basta sbagliarne uno solo – è l’avviso finale - per rovinarne il gusto”.

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