La politica, lo Stato e i cittadini: entità diverse eppure uguali
Dovrebbero avere la stessa finalità: quella di tutelare gli interessi di tutti i cittadini. Invece, per dirla con Franco Cavallaro, a volte gli interessi salvaguardati sono solo quelli propri o dei “compari”. Il rapporto fra la politica e lo Stato pare assumere negli ultimi anni dei connotati di conflittualità che agli occhi della comunità diventano segnali di una sfida fra entità diverse. Il cittadino – che non si riconosce né nella politica e né nello Stato - si sente sempre meno coinvolto in una vita democratica che si occupa spesso di problemi astratti e non della quotidianità. Si percepisce una distanza siderale fra chi frequenta i silenti palazzi del potere e chi abita in un alloggio modesto “riempito” dal pianto dei bimbi. Il punto è la percezione della realtà: se non ci si ferma nelle strade, fra i disoccupati, nei ristoranti sempre più vuoti e nei discount sempre più pieni, nelle chiese in cui la preghiera che allevia la disperazione supera gli effetti della secolarizzazione, negli asili e nelle scuole dove i detersivi e la carta igienica li comprano i genitori, non si capisce il disagio della gente. Si pensa a candidature e a carriere, non a come favorire la crescita delle imprese o l’aumento dei posti di lavoro. Non è una questione di destra o di sinistra: i buoni non stanno da una parte e i cattivi dall’altra, piuttosto va cambiata la mentalità di una generazione che ha smesso di lottare per davvero e si arrende troppo facilmente. I lavoratori del call center hanno timore di occupare la sede e addirittura di astenersi dalle attività lavorative perché “rischiano il licenziamento”. Come se quel posto precario fosse blindato e non appeso ad un sottilissimo filo.
Il sistema non è più credibile. Negli ultimi anni abbiamo visto sfilare commissioni d’accesso in Comuni dove poi i componenti delle amministrazioni sciolte per infiltrazioni mafiose si ricandidano e rivincono, sindaci uscenti che non riescono a proporre uno straccio di lista, prefetti che “picconano” in stile Cossiga e politici che, per questo, si sentono lesi e contrattaccano a modo loro. È la Calabria del caos; delle tasse portate alle stelle per pagare i vecchi debiti della Sanità e degli ospedali vetusti, chiusi o riconvertiti; dei governatori decaduti, dimessi, candidati (in altre competizioni) e “giocati” dai loro assessori e di quelli che non riescono a fare una giunta completa dopo tre mesi e mezzo dalle elezioni. È la regione dei calabresi che partono e dei migranti che arrivano, dei vicepresidenti del Consiglio assassinati e dei presidenti di quell’assise minacciati di morte. Così non va, non c’è futuro. Non va la classe dirigente che governa, non va la base della società che sceglie i suoi rappresentanti e che agisce, in proporzione, come loro. I valori sono sbiaditi, le idee sfuocate. O si cambia o si muore.