Vittorio Sgarbi a Vibo per presentare il suo ultimo libro, "Canova e la bella Amata"
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Ventimila copie vendute, il cui ricavato è stato interamente devoluto alle popolazioni dell’Italia centrale colpite dal terremoto. E poi la prefazione di Vittorio Sgarbi, a suggellare il successo di decine di presentazioni in tutta Italia e commenti sempre lusinghieri.
Sarà in tutte le librerie domani (lunedì 24 luglio) la seconda edizione, arricchita, del libro “Sono Nessuno! Il mio lungo viaggio tra arte e vita”, il libro intervista che racconta la straordinaria esperienza umana e artistica di Gerardo Sacco in un colloquio con il giornalista Francesco Kostner.
La prefazione di Vittorio Sgarbi sottolinea il grande valore dell’esperienza umana e artistica dell’orafo crotonese, che continua a riscuotere successi e ottenere prestigiosi riconoscimenti in ogni parte del mondo.
La freschezza e il valore dell’opera trovano conferma, anche, nei giudizi positivi che accompagnano la testimonianza di Gerardo Sacco: un mix di ricordi, riflessioni, esperienze, progetti, particolarmente apprezzato dai lettori e nelle scuole. È proprio nelle scuole, o meglio nel rapporto con i ragazzi, che Sacco ha trovato i suoi interlocutori preferiti. Ai ragazzi ha confessato il suo cruccio di non aver potuto studiare, ma anche tutto l’orgoglio di essere riuscito a costruire ugualmente un azienda di successo, in un significativo recupero del “tempo perduto” ottenuto proprio attraverso il suo duro lavoro, la sua passione. Un percorso che nel tempo l’ha portato ad arricchire il proprio bagaglio di conoscenze su mondi e civiltà antichi e moderni, celebrandone con la consueta originalità forme, espressioni, peculiarità.
La seconda edizione di “Sono Nessuno! Il mio lungo viaggio tra arte e vita” è arricchita di nuovi episodi e di un corposo indice dei nomi, utilissimo per orientarsi nei meandri di una confessione che attraversa oltre cinquant’anni di storia calabrese e italiana.
Anche la copertina, incentrata sulle immagini della prima opera di Sacco, la collana di cuticchie realizzata a quattordici anni, e dal piccolo garzone di bottega con i pantaloni alla zuava, contribuisce a rendere più interessante la novità editoriale della Rubbettino, che sarà presentata in Calabria durante l’estate e fino a dicembre in Campania, Puglia, Lazio, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.
In quarta di copertina, infine, sono riportati i commenti di Nuccio Ordine, ordinario di Letteratura italiana all’Università della Calabria; Rita Pedditzi, giornalista di punta del programma Rai “Voci del Mattino”, condotto da Paolo Salerno; del produttore cinematografico Fulvio Lucisano, del segretario generale di TaorminaArte, Nanni Panzera e dell’attrice Maria Grazia Cucinotta.
Solo alcuni dei lusinghieri giudizi, seguiti lo scorso anno all’uscita del libro intervista nel quale Gerardo Sacco ha raccontato la sua meravigliosa avventura artistica diventata famosa in tutto il mondo.
Giunta sicuramente non anonima quella presentata nel pomeriggio da Mario Occhiuto. Il sindaco di Cosenza ha scelto nomi eccellenti per la sua squadra: in particolare faranno parte dell’esecutivo la coordinatrice regionale di Forza Italia Jole Santelli, padre Fedele Bisceglia e Vittorio Sgarbi. Al loro fianco ci saranno Matilde Lanzino, Luciano Vigna, Francesco Caruso, Carmine Vizza, Rosaria Succurro e Loredana Pastore. Decisioni che testimoniano la personalità del primo cittadino e che sono alla base delle speranze di sviluppo del centro bruzio.
Desinit in piscem, diciamo noi dotti quando una cosa degenera come l’oraziano cavallo con la coda ittica. Sembrava quasi quasi che la Calabria volesse prendere sul serio un pezzettino della sua storia, la morte e sepoltura di Alarico; e invece dalle notizie che traspaiono, siamo alle solite. Due mesi fa circa, il troppo noto e celebrato Vittorio Sgarbi, critico d’arte di mestiere e tuttologo dilettante, aveva sentenziato che la tomba di Alarico è una “leggenda”. Non so come facesse, quale contezza avesse del testo di Jordanes, ma, per i provinciali, ipse dixit, autòs epha. Oggi apprendiamo invece che lo stesso identico medesimo Sgarbi comincia a cambiare idea, e trova “interessante” quella che prima era “leggenda”. Beh, errare humanum est; e anche correggersi. Gli sarà apparso in sogno Jordanes? Ora che hanno ottenuto il consenso di Sgarbi, a Cosenza tirano fuori un’altra volta Himmler: un gerarca nazionalsocialista fa sempre il suo effetto; e poi, dopo i film di Indiana Jones… E giù con l’invenzione di “archeologi” parimenti “nazisti” che sarebbero venuti… La verità pare sia molto più terra terra: il gerarca tedesco si recò in Sicilia con la moglie, e, dopo aver trascorso lì una vacanza, sarebbe tornato a casa in auto, passando perciò da Cosenza, incuriosito. I Tedeschi, a dire il vero, non avevano bisogno di aspettare il Terzo Reich; non c’era manco il Primo, quando, nel 1820, il Platen scrisse i versi Das Grass im Busento, poi tradotti dal Carducci:
Cupi a notte canti suonanoDa Cosenza su ’l Busento,Cupo il fiume gli rimormoraDal suo gorgo sonnolento.Su e giù pe ’l fiume passanoE ripassano ombre lente:Alarico i Goti piangono,Il gran morto di lor gente…
Mi spiace, niente romanzi gialli. Quanto alla veridicità o meno della notizia di Jordanes, essa è verosimile, ricordando riti di sepoltura solenne e tragica di re e altri grandi personaggi. Tutte le notizie storiografiche sono, per definizione, dubbie; e di molti fatti e nomi di tutte le storie abbiamo poche notizie, e sempre da confermare, magari con il supporto di fonti archeologiche. A questo proposito, dov’è che hanno letto, i dotti, che nel bottino di Roma ci sarebbero stati dei candelabri? Trattasi di bufala campata in aria. Come mi piacerebbe, se qualcuno si degnasse di parlare di Alarico e del suo grande rivale Stilicone; di Ataulfo; di Galla Placidia regina dei Goti e imperatrice dei Romani… Argomenti, mi pare, abbastanza ignoti.
Vittorio Sgarbi ha decretato che è una leggenda. Non mi pare di aver mai letto che lo Sgarbi sia un filologo, da darci lumi sugli scritti di Isidoro e Iordanes e sull’ipotizzata opera cassiodorea a tale proposito; né uno storiografo; è un critico d’arte, e faccia il critico d’arte. E anche quando Battista Sangineto eccepisce che Iordanes scrive duecento anni dopo, e il ritenuto scritto di Cassiodoro sarebbe di settant’anni dopo la morte del re, l’argomento è palesemente debole, giacché tutta la storiografia, per definizione, parla di qualcosa di passato. In archeologia, l’ultima parola è quella del piccone: se verrà alla luce qualche traccia di Alarico, lo sapremo solo a cose finite. Le fonti antiche sulla morte di Alarico sono una sintetica notizia di Isidoro, che registra solo la morte, genericamente “in Italia”. Più preciso lo storico Iordanes, che si vuole, accennavamo, riassumere un lavoro perduto di Cassiodoro sulla storia dei Goti. Il grande scilletino, come si sa, fu ministro di Teodorico e dei suoi successori: essi erano ostrogoti, uno dei due rami della stirpe gotica. Anche Isidoro, del resto, vive nella Spagna dei Visigoti. Questi, sotto la guida del successore di Alarico, Ataulfo, e di Galla Placidia, lasciarono l’Italia per la Penisola Iberica. Qualche nozione del genere non dovrebbe mancare, se si vuole parlare di storia dei Goti! Riprende la notizia anche Paolo Diacono nella Storia dei Longobardi. Così racconta Iordanes: “Infine entrati in Roma, per ordine di Alarico la saccheggiano soltanto, non la bruciano, come sogliono quei popoli, e non permettono di recare offesa ai luoghi sacri. Uscitine, e provocando la stessa devastazione in Campania e Lucania penetrarono tra i Bruzi; e rimasti lì a lungo, decidono di passare in Sicilia e poi Africa. La regione dei Bruzi è posta all’estremo meridionale dell’Italia; il suo angolo inizia dal monte Appennino, e come spingendo una lingua al mare Adriatico dal Tirreno, preso il nome dalla regina Bruzia. Là giunto, Alarico re dei Visigoti con le ricchezze di tutta Italia, che aveva predato, poi, come si è detto, voleva ottenere una sede sicura attraverso la Sicilia in Africa. Ma poiché non è libero l’uomo di far cosa che non sia secondo la volontà di Dio, quello Stretto orribile fece affondare alquante navi, ne danneggiò moltissime. Respinto dunque da questo funesto evento, Alarico, mentre stava decidendo che fare, colto da improvvisa immatura morte uscì di vita. Piangendolo per grande amore, deviando il fiume Busento presso Cosenza dall’alveo, - infatti, tale fiume dal piede del monte scendendo fino alla città scorre per salutare onda – radunati dunque in mezzo all’alveo le schiere di prigionieri scavano il luogo della sepoltura, e nel seno di quella fossa coprono Alarico con molte ricchezze, e di nuovo facendo precipitare le acque nel loro corso, e perché il luogo non fosse riconosciuto mai, uccidono tutti quelli che lo avevano scavato…” Queste sono le fonti. Le riscoprirono, molti secoli dopo, i romantici tedeschi del XVIII e XIX secolo, nella loro ricerca di radici. Fu celebre la poesia del Platen, tradotta in italiano dal Carducci. Quanto alla tradizione locale, l’Andreotti riprende Iordanes anche citando delle cronache antiche cosentine. Non so se siano state trasmesse leggende popolari genuine, segno di memoria storica. Nuove leggende dotte, non ne servono. Una fugace visita del gerarca nazionalsocialista Himmler s’inquadra nel suddetto fenomeno culturale di riscoperta delle vere o immaginarie antichità germaniche, che portarono altri in Provenza e altri nel lontano Tibet. Niente ci autorizza a valutare addirittura il peso e la qualità dei tesori di Alarico in vita e in morte; o, in base a fantasiosi ragionamenti deduttivi, a dar per certa la presenza nel Busento di simboli religiosi portati via da Roma. Se la sepoltura avvenne davvero, non è necessario pensare che la salma sia stata accompagnata dall’intero immane bottino, e mi si consenta di dubitarne moltissimo: i tesori saccheggiati avranno seguito in massima parte il trasferimento dei Visigoti fino in Spagna. Lì il popolo si divise in molti regni, tutti conquistati nel 711 dagli Arabi: seguirono altri secoli di guerre; ed è facile immaginare quali sorti abbiano subito i preziosi. Tuttavia, la sepoltura di Alarico è verosimile. Essa risponde intanto a riti di cui abbiamo notizia presso tutti i popoli seminomadi e guerrieri, con sepoltura, o altri onori funebri, particolarmente solenni e tragici per il re, con cui il popolo sente un’identificazione religiosa e magica. I morti in genere devono essere accompagnati nel loro trapasso ad altra vita; e se ciò non si compie nelle debite forme, divengono “mìasma” e corruzione della famiglia, del territorio e della nazione. Spesso il re viene seguito da altri morti, alcuni dei quali a volte anche volontari. Erodoto afferma che le mogli del re dei Traci gareggiavano per l’onore di morire con lui. Le spoglie del morto devono essere protette, perché potrebbe impadronirsene chi vorrebbe vilipenderle, o farne un oggetto di teurgie e maledizioni. Ci sono dunque buone ragioni per ritenere verosimile la notizia di Iordanes. Se vera, potrebbe confermarlo una fortunata scoperta; la mancata scoperta, ovviamente, non porrebbe fine a rinnovate speranze.
“Mi sarei aspettato che a rispondere alle inqualificabili e inopportune dichiarazioni fatte da Vittorio Sgarbi prima e da Matteo Renzi poi sulla Calabria, fossero stati i parlamentari eletti nella nostra regione, ma con mio sommo rammarico registro l'ennesimo assordante silenzio di una classe politica che è evidentemente priva dell'orgoglio dell'appartenenza”. Lo afferma in una dichiarazione il presidente del gruppo consiliare della lista ‘Oliverio Presidente’, Orlandino Greco.“Bene ha fatto, dunque, il presidente Oliverio a replicare a quelle affermazioni per difendere una terra ricca di storia, cultura e tradizioni millenarie. Questa - aggiunge Greco - è la terra di Zaleuco di Locri, di Tommaso Campanella, di Gioacchino da Fiore, di Bernardino Telesio. E' in Calabria che Platone e Aristotele appresero gran parte delle loro conoscenze da Timeo, Euticrate e Arione. Io rivendico con orgoglio la nostra storia e non consento a nessuno – sottolinea con forza Orlandino Greco - tantomeno ad un fine intellettuale come Sgarbi, di esprime sentenze condizionate da pregiudizi insopportabili. Io sono orgoglioso degli imprenditori caparbi che con sacrifici e dedizione hanno scelto di rimanere a lottare in Calabria per non prendere la via dell'emigrazione. Sono orgoglioso dei commercianti che al Tuttofood hanno mostrato i prodotti calabresi che esprimono da soli la forza di una comunità e la storia di una terra. Sono orgoglioso – prosegue ancora Greco - dei tanti giovani che non hanno trovato spazio in Calabria ma stanno dimostrando al mondo cosa significa avere grande forza di volontà, talento e senso del sacrificio. Sono orgoglioso di tutti i calabresi che ogni mattina si svegliano sapendo di dover partire sempre da -1 rispetto al resto dell'Italia". “Che la Calabria non è il Veneto, è vero – dice Orlandino Greco - ma il problema è che la Calabria non è la Calabria. Non lo è per le responsabilità di una classe dirigente, politica e non, che fino ad oggi ha utilizzato i nostri territori per fini privatistici. Ma non lo è anche perché i governi nazionali, dall'Unità d'Italia fino ad oggi, favorendo il nord, hanno in maniera scellerata impoverito una terra che fino al 1861 rappresentava un punto d'eccellenza per tutta l'Europa. Non lo è perché la classe politica nazionale ha guardato alla Calabria come un problema da risolvere, come un'emergenza da affrontare, senza mai fermarsi a guardare i tesori naturalistici, storici e culturali che in essa si celano e che rappresenterebbero un'opportunità importante per l'Italia. E' da qui, è dalla Calabria che si parte per scrivere una seconda Unità d'Italia. Senza secessioni, né rivendicazioni. Si riparte dai nostri talenti – conclude Greco - dai prodotti della nostra terra, dalla bellezza dei nostri luoghi. La Calabria non è il Veneto, è vero, è la Calabria".