Unioni civili e lezioni di diritto romano
- Written by Ulderico Nisticò
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Nei tempi più arcaici, il diritto romano conosceva solo una fattispecie di matrimonio, quello detto confarreato. Era proprio ed esclusivo dei “cives”, cioè i patrizi; aveva carattere sacro, con una serie di complesse cerimonie (nuptiae), tra cui il rapimento della ragazza come le Sabine e la “suovetaurilia”, sacrificio di toro, maiale e pecora; imponeva la convivenza nella casa del marito (“uxorem ducere” domum); e comunanza di vita (“ubi tu Caius, ibi ego Caia”); ne nascevano figli legittimi, e che erano i soli a essere legittimi e avere un “nomen”, cioè personalità giuridica, e unici a esistere; la moglie era “in loco filiae”, sottoposta al “paterfamilias” come i figli. Nel diritto arcaico i plebei e gli schiavi non detengono alcuna personalità giuridica, e i loro rapporti familiari (“connubia”) sono “more ferarum”, come gli animali. Il diritto romano va sempre preso alla lettera, in quanto formulare; ma con calma, con buon senso, sempre caso per caso. Il matrimonio confarreato, infatti, apparve presto troppo impegnativo; e intanto i plebei ottenevano l’equiparazione dei diritti, il che, sulle prime, comportava che i plebei facessero come i patrizi; ma ben presto fecero i patrizi come i plebei; e si diffuse la pratica del matrimonio civile, divenuto poi prassi. Dice Tacito che ai tempi di Tiberio non si trovarono nell’Urbe tra fanciulli “confarreati” per una cerimonia che li richiedeva. Era accaduto dunque un processo di laicizzazione della società romana; e siccome la legge romana regola l’esistente e non deve fare altro, la legge lo regolò. Cicerone, Cesare, Pompeo non avevano sacrificato tori e maiali e pecore; e, infatti, sono ben noti i loro divorzi. Bastava che la donna trascorresse una notte fuori casa, ed era fatta: immaginate le conseguenze. Successe di tutto: Catone Uticense divorziò da Marzia per farla sposare a un amico; ma quando lei non si trovò comoda, se la risposò. Mirandum, ovvero Beautyfull. C’erano poi, in età imperiale, coppie di fatto, però legalizzate, come quella di sant’Agostino. La donna, di condizione inferiore, poteva essere ripudiata, ma non abbandonata. La sacralità del matrimonio venne riaffermata dal cristianesimo, con l’affermazione che è un sacramento di cui gli sposi sono ministri e il sacerdote testimone. Ciò non toglie che si formassero altre fattispecie di unione, dalle convivenze di fatto alla schiavitù temporanea. Con questo istituto, abilmente manovrato dai giudici, gli Inglesi popolarono America del Nord e Australia: delle donne venivano condannate, poi si offriva loro di fare le schiave a tempo, e a tutto servizio. Nell’Europa cristiana, solo i figli nati da matrimonio erano legittimi, ma la storia è piena di Manfredi e Selvaggia e Ferrante I e Giovanni d’Austria e Waleski; e c’erano anche modalità di legittimazione dei “bastardi”. Proprio così chiamati: Renato di Savoia, vissuto tra il 1468 e il 1525, fu un personaggio importante, ed era chiamato il Gran Bastardo di Savoia! E molti patrioti americani dei primi decenni erano figli o nipoti di casa reale britannica! Le navi inglesi brulicavano di figli spuri di qualche ammiraglio o lord. Tutto questo, per la storia dei nobili. I plebei, si arrangiavano. In mancanza di leggi, e anzi con Napoleone la condizione degli illegittimi peggiorò moltissimo, vigevano le consuetudini: i proprietari terrieri che avevano una famiglia legittima e due o tre in campagna, non trascuravano i “muli”, cui trovavano una collocazione economica e sociale. Accadeva spesso che i parroci convincessero, in articulo mortis, a legittimazioni di coscienza; un’occhiata ai cognomi dei paesi… Oggi, lo si voglia o no, le situazioni di fatto sono complicate dalla realtà, ed è inutile fingere di non vedere. Se ci fosse buon senso, basterebbe un contratto di convivenza a tempo; ma s’infila l’ideologia, e tutto si complica. Quanto alla Chiesa, secondo me può fare solo una cosa seria: affermare che solo il matrimonio è matrimonio, e che le altre forme di convivenza non lo sono, e tanti saluti, e non si discute. Ma ieri sentivo per radio due cattolici, uno anche teologo, che se ci fosse il Nobel per l’arrampicata sugli specchi glielo darebbero ogni mese! “Per dare ragione a tutti, siete un uomo”, dice don Rodrigo all’Azzegarbugli. E invece, mentre riconosco che una legge ci vuole, ricordo alla Chiesa il “Sì, sì; no, no”, con il corollario, “il resto viene dal demonio”.
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