La guerra, la propaganda e la morte della verità

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, in Occidente, si era diffusa la fallace illusione che l’era futura sarebbe stata contraddistinta dalla pacifica risoluzione dei conflitti, con la logica conseguenza della fine della guerra. Non da ultimo, il nippo-americano Francis Fukujama si era affrettato a sentenziare la prematura fine della storia, con l’avvento di un sistema unipolare dove la potenza vincitrice avrebbe plasmato l’umanità senza ricorrere all’uso della forza. Sono bastati pochi anni a dissolvere questa pia illusione. Negli ultimi due lustri il numero dei conflitti è aumentato considerevolmente, arrivando a lambire i confini di un’Europa che pensava, dopo le devastanti conseguenze delle due guerre mondiali, di aver scoperto l’antidoto che l’avrebbe resa immune dai guasti di nuovi conflitti. E’ sufficiente guardarsi attorno per capire che quelle ottimistiche proposizioni sono svanite nello spazio di un mattino e soprattutto ben prime del fatidico 11 settembre. La conflittualità sembra rappresentare un fattore cronico che si insinua nella nostra quotidianità condizionandone il modo di pensare di agire e di rapportarsi con la realtà. Ciò che spesso risulta più arduo, è riuscire a comprendere le ragioni che inducono allo scontro e discernere tra la realtà e la propaganda. Che la guerra abbia come conseguente corollario l’occultamento sistematico della verità è cosa  nota e risaputa. Non a caso, nel 1917 nel bel mezzo della Prima guerra mondiale, il senatore californiano Hiram W. Johnson pronunciò la celebre frase "The first casualty when the war comes is truth (La prima vittima della guerra è la verità)”. La realtà, è ormai così soggetta a manipolazione che i finti scoop e le "bufale di guerra", come vengono chiamate in gergo giornalistico, non si contano più. La necessità di costruire ad arte verità di comodo funzionali alla propaganda dei belligeranti ha un’origine non facilmente rintracciabile. Per l’età moderna o contemporanea è molto più semplice individuare delle fonti che documentano, in maniera incontrovertibile, l’asserzione di “realtà” fallaci allo scopo d' influenzare l’opinione pubblica. Basti pensare all’esperienza di Napoleone che, giunto in Egitto ed in Palestina, nei suoi proclami si presentò come il liberatore degli arabi, dai turchi, cercando di occultare i reali motivi della spedizione in Medio Oriente, che erano di tutt’altra natura. Uno dei casi più clamorosi fu quello imbastito, nel 1854,  durante la guerra di Crimea, allorquando, nella valle di Baclava, venne realizzato un vero e proprio set per mascherare una pesante sconfitta subita dalle truppe britanniche  ad opera dell’esercito russo. La ricostruzione della battaglia era stata descritta realisticamente dal corrispondente del Times, William Russell. Il governo inglese decise di correre ai ripari incaricando il fotoreporter Roger Fenton  di scattare immagini più rassicuranti che ritraevano tavole imbandite, soldati sorridenti e ben nutriti, scene di esultanza e vittoria. Nessun morto. Niente sangue. Con delle immagini clamorosamente finte il governo di George Hamilton raggiunge lo scopo di risollevare il morale degli inglesi. Quasi un secolo più tardi, nel corso della Seconda guerra mondiale, durante lo sbarco in Normandia vennero riprese scene destinate a fare il giro del mondo. Quelle immagini che immortalavano i soldati americani che armati di fucile raggiungevano le coste francesi sono completamente false,   furono girate, infatti, ricorrendo a comparse e set ricostruiti sulle spiagge di Slapton, tranquilla località del Devonshire, in Inghilterra. Nel dicembre del 1989, un altro filmato fece il giro del mondo. A Timisoara, nel nord della Romania, venne scoperta una fossa comune da cui emergevano i cadaveri di uomini, donne e bambini. Secondo gli organi d’informazione vi si trovavano 4632 persone, ammazzate dal regime comunista di Nicolae Ceausescu. La prima a darne notizia fu l’agenzia di stampa Tanjug di Belgrado. Salvo, però, scoprire, alcune settimane dopo, che i cadaveri erano "solo" tredici. Riesumati per l’occasione da un vecchio cimitero dove erano stati sepolti alcuni senzatetto. Il caso era stato costruito ad hoc dal fronte anti-Ceausescu, che aveva avuto premura di inviare sul posto i reporter e i cameraman di tutto il mondo per filmare le atrocità commesse dal dittatore romeno. Altra guerra, altri scoop. Altre immagini finte. Durante la prima Guerra del Golfo le manipolazioni dell’informazione si sprecarono. L’immagine di un cormorano agonizzante, imbrattato di petrolio, scosse l’opinione pubblica. L’unico dettaglio, tutt’altro che irrilevante, era rappresentato dal fatto che in quella stagione nel Golfo Persico non ci fossero cormorani. Le foto, infatti, erano state scattate dalla Reuters nella primavera del 1983, durante la guerra Iran-Iraq. I filmati, invece, erano stati girati da un reporter televisivo con l’aiuto di un inconsapevole cormorano, preso in "prestito" in uno zoo. Anche le dune dietro le quali infuriava la battaglia, erano rigorosamente “finte”, si trovavano, infatti, a 650 chilometri dal fronte, esattamente a Dharhan, vicino agli alberghi dove alloggiavano gli inviati. Più recente, invece, la bufala del bambino siriano che per giorni, i media occidentali, hanno sostenuto avesse attraversato da solo ed a piedi il deserto tra Siria e Giordania salvo poi, "scoprire" che in realtà il piccolo era solo rimasto un pò indietro rispetto alla famiglia ed al gruppo di profughi con il quale viaggiava. In altre parole è sempre valido l’assioma di Winston Churchill secondo il quale, “In tempo di guerra la verità è così preziosa che bisogna sempre proteggerla con una cortina di bugie.”

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