'Ndrangheta, operazione “Recherche”: arrestati i fiancheggiatori del boss Marcello Pesce
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Fra gli arrestati nell’operazione “Recherche” vi sono diversi fiancheggiatori che avrebbero curato e gestito la latitanza di Marcello Pesce, fungendo da “vivandieri”, assicurandone i collegamenti con gli altri membri della cosca e, più in generale, con i familiari, procurando loro appuntamenti con soggetti terzi o riportando loro e per loro conto le “imbasciate”. Le condotte di aiuto dei fiancheggiatori si sarebbero concretizzate nella messa a disposizione di quanto necessario alla protrazione della latitanza di Pesce ed alla creazione di una rete di supporto e di tutela, effettuando delle staffette finalizzate ad evitare l’intervento delle forze dell’ordine o a coprire i vari spostamenti del latitante.
Le indagini hanno consentito di ricostruire nei minimi particolari i movimenti dei fiancheggiatori attraverso le immagini registrate dalle telecamere installate lungo i percorsi stradali che conducevano al covo del latitante a Rosarno, laddove Marcello Pesce è stato localizzato e arrestato l’1 dicembre 2016 in seguito ad un blitz curato in ogni dettaglio.
L’analisi degli spostamenti effettuati da Filippo Scordino e dagli altri fiancheggiatori, tratti in arresto nel corso della notte, avrebbe consentito agli investigatori di comprendere che egli avrebbe assunto un ruolo sempre più importante nella gestione della latitanza di Pesce, di cui avrebbe eseguito gli ordini.
Sempre attraverso la collocazione delle telecamere di sorveglianza altamente sofisticate, gli investigatori hanno individuato l’intero e composito gruppo di fiancheggiatori del super-latitante. Le autovetture in uso ai favoreggiatori sono state riprese dalle telecamere della Polizia di Stato mentre percorrevano la strada che conduceva all’abitazione all’interno della quale è stato localizzato e catturato il latitante.
Fra gli arrestati dell’Operazione “Recherche” figura anche Rocco Pesce, figlio di Marcello, componente del primo livello della filiera di comunicazione con il latitante. Proprio quest’ultimo, seguendo le direttive del padre, si sarebbe occupato del controllo e del coordinamento delle attività delittuose, teneva i rapporti con gli altri affiliati e con gli esponenti di vertice di altre cosche, gestiva alcune aziende agricole, un centro scommesse intestati a prestanome e un fiorente traffico di sostanze stupefacenti.
La meticolosità con cui sono state eseguite le indagini, attraverso molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videosorveglianza - congiuntamente alle tradizionali attività di riscontro sul territorio -, avrebbe consentito di far luce sulle condotte criminali poste in essere dal gruppo facente capo al boss Marcello Pesce e, più in generale, all’intera cosca, con particolare riferimento al monopolio forzoso del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli per conto terzi, alle intestazioni fittizie di beni ed al traffico degli stupefacenti.
Centrale in tutti questi ambiti era anche la figura di Filippo Scordino, considerato luogotenente del boss e persona di estrema fiducia del figlio Rocco, che è risultato il principale gestore della “Agenzia di Rosarno”, ovvero l’agenzia di mediazione del trasporto merci su gomma attraverso la quale il settore era monopolizzato dallo stesso Pesce e gestito attraverso alcune società fittiziamente intestate a prestanomi.
Le indagini hanno portato alla luce alcuni disaccordi nella gestione del trasporto degli agrumi per conto di alcuni produttori di Rosarno, sorti tra le articolazioni della cosca Pesce facenti capo da un lato al boss Marcello e dall’altro a quella di Vincenzo Pesce detto “u pacciu” (già detenuto), i cui interessi erano curati dai figli Savino ed Antonino. Alla base delle frizioni, la rivendicazione dei figli di Vincenzo Pesce della gestione del trasporto, con mezzi propri o delle società ad essi riconducibili, degli agrumi prodotti nelle aree ricadenti sotto la loro influenza criminale.
Beni per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro sono stati sequestrati dagli investigatori. Si tratta di otto società operanti nel settore agrumicolo e del trasposto merci per conto terzi, con i relativi patrimoni aziendali, beni mobili ed immobili, crediti, articoli risultanti dall’inventario, beni strumentali, denominazione aziendale, avviamento, conti correnti, nonché tutte le licenze e/o autorizzazioni all’esercizio dell’attività commerciale concesse dalle Autorità competenti. Sequestrati anche 44 trattori stradali, rimorchi e semirimorchi utilizzati dalla cosca per il trasporto di agrumi e kiwi da Rosarno al Centro e Nord Italia.
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