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Rapporto Svimez, il Sud rischia di rimanere povero e assistito

Le previsioni sull’economia del Mezzogiorno presentate oggi dalla Svimz sono crudeli: si stima che nel 2023 il Pil del Sud diminuirà (-0.4%), mentre quello dell’Italia aumenterà, sebbene a bassi tassi (+0,5%). Dopo la ripresa post-covid, avremo un rallentamento dell’economia italiana che rischia di allargare i divari Nord-Sud. Per caratteristiche strutturali e per composizione della spesa delle famiglie, gli effetti della crisi energetica e della spirale inflazionistica sono asimmetrici: stanno colpendo di più le famiglie (+2.8% di nuovi poveri a Sud; 0.35% nel Centro-Nord) e le imprese (il 20% dell’incremento della spesa energetica graverà a Sud, a fronte di un peso del 10% delle imprese in termini di valore aggiunto) meridionali, con l’effetto di accentuare la desertificazione industriale e l’ampliamento delle aree di povertà.

Chiara anche la visione della Svimez sul futuro del Sud: non si può avere crescita senza industria. È chiaro, quindi, che lo sforzo del paese e dei governi regionali deve essere quello di massimizzare l’efficacia delle politiche di sviluppo del Pnrr e della nuova programmazione comunitaria: sprecare queste occasioni con spese improduttive significherà assecondare l’irreversibile processo di impoverimento dell’economia e della società meridionale. Rischiamo di rimanere pochi, poveri e assistiti.

*Presidente di OpenCalabria -Prof. Ordinario di Politica Economica, UniCal.

 

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Rapporto Svimez 2019, la Calabria è l’unica regione del Mezzogiorno con il Pil negativo

Il rapporto Svimez 2019 sull’economia del Mezzogiorno indica che è dello 0,6% la variazione del Pil del Mezzogiorno registrata nel 2018. Si tratta di un valore di poco inferiore a quello (+0,9%) osservato nelle regioni centro-settentrionali e, in media, nell’intero paese.

Per il 2019, le stime della Svimez indicano che il Sud è a rischio recessione (-0.2% è la variazione del Pil rispetto al 2018), mentre il PIL del Centro-Nord crescerà, ma solo dello 0.3%. In media, l’Italia registrerà una variazione positiva del Pil che sarà di poco superiore allo zero (+0.2%).

Nel 2020, si avrà un incremento del Pil dell’Italia (+0.6%), che è dovuto alla debole ripresa, rispetto al 2019, di ciò che osserveremo nelle regioni meridionali (+0,2%) e nel Centro-Nord (+0,7%).

In prospettiva osserveremo, quindi, un paese che continua ad arrancare e un allargamento della forbice tra le aree del paese.

Le regioni del Sud

 Su base regionale, il rapporto Svimez 2019 indica che la Calabria è l’unica regione deMezzogiorno a registrare nel 2018 una variazione negativa del Pil (-0,3%). È in Abruzzo, Puglia e Sardegna che si osserva una crescita più sostenuta (+1,7%, +1,3% e +1,2%, rispettivamente), seguite dal Molise e dalla Basilicata (+1%),  dalla Sicilia (+0,5%). In Campania, il PIL del 2018 è invariato rispetto al 2017

La riduzione del Pil calabrese del 2018 frena l’inversione di tendenza che si era osservata dal 2015 in poi: nel triennio 2015-18 la Calabria ha registrato una crescita del 2.1%, che è maggiore del dato osservato nello stesso periodo in Molise (+1.6%) e in Sicilia (+1,2%), ma inferiore a quello delle altre regioni meridionali [Abruzzo (+2.2%), Sardegna (3.2%), Campania (4.1%), Puglia (+4.5%) e in Basilicata (-11,4%). In media, la crescita 2015-2018 del Mezzogiorno è stata del 3.3%, inferiore alla ripresa osservata nel Centro Nord (+5.1%).

Le distanze con il periodo pre-crisi

  Tuttavia, il paese non ha ancora recuperato gli effetti della crisi del 2008 e il ritardo è sostanziale in tutto il Mezzogiorno: nelle regioni meridionali il Pil del 2018 è più di dieci punti percentuali (-10,4%) più basso di quello del 2008. Il Centro Nord ha quasi annullato le distanze (-2,4%). Il dato medio italiano è pari a -4.3%).

In questo confronto pre-crisi, la Calabria registra una distanza del Pil di -12,3%, mentre il gap delle altre regioni è il seguente: Abruzzo (-5,1%), Sicilia (–13,9), Molise (–20,3%), Puglia (–6,7%), Sardegna (–8,6%), Campania (-12.3%). La regione meridionale che ha recuperato la riduzione del PIL osservata negli anni della crisi è la Basilicata (-0.4%).

È da questi dati impietosi che deve prendere corpo una lettura seria e rigorosa delle cause del declino del paese (più a Sud che a Nord) e delle politiche e strategie da attuare per invertire le tendenze in atto.

* Prof. Ordinario di Politica economica - Università della Calabria

Rapporto Svimez, U.Di.Con.: “Grave divario tra Nord e Sud, Istituzioni non si nascondano”

 “Un rapporto ancora una volta fortemente negativo che fa seguito ad un triennio che aveva lasciato già poche speranze – scrive in una nota il presidente Nazionale U.Di.Con. Denis Nesci – il divario tra Nord e Sud si allarga e la politica, soprattutto per alcune regioni, sembra nascondersi dietro un dito. Se due milioni di giovani sono emigrati dal Sud al Nord tra il 2002 ed il 2017, sarà colpa di una gestione approssimativa di territori che, al contrario, avrebbero tantissimo da offrire? La qualità della vita, se non altro dal punto di vista paesaggistico, supera molte delle realtà del Nord Italia, eppure i giovani meridionali sono costretti ad abbandonare la propria terra per cercare fortuna altrove, fortuna che al Sud non esiste. Nel 2017 hanno chiuso le valigie 132mila ragazzi residenti nelle regioni meridionali e sono emigrati al Nord – continua Nesci – questo è il primo dato che non deve passare inosservato, perché l’emergenza del Meridione è tale, anche e soprattutto per la fuga dei giovani. Ci sono 107 mila occupati in meno solo negli ultimi due trimestri, mentre al Nord nello stesso lasso di tempo si parla di una crescita di 48mila posti di lavoro in più. Questi sono punti ai quali dovrebbero seguire dei commenti dalla politica, una spiegazione, magari una soluzione o un piano per il presente oltre che per il futuro. Al momento non sentiamo altro che il suono stridente di questi numeri raccapriccianti – conclude Nesci – è necessario lavorare per creare una alternativa credibile per i giovani residenti nel Sud Italia, l’emigrazione verso il Nord non fa altro che creare un danno a tutta la Nazione, perché se esiste, come esiste, un motore propulsivo per il nostro territorio, quello è proprio il Meridione”.

"Drammatico il raddoppio del numero di calabresi poveri"

"Dal Rapporto Svimez emerge un Paese sempre più diseguale con un Mezzogiorno sempre più povero. Primeggia, purtroppo negativamente, il dato della Calabria, prima tra le regioni povere". Lo afferma in una dichiarazione il presidente del gruppo consiliare del Ncd, Giovanni Arruzzolo. "Il raddoppio della fascia di popolazione calabrese  scivolata nel gorgo della povertà  è un dramma di cui tutta la classe dirigente di questa regione deve farsi carico. Stiamo vivendo una realtà di straordinaria crisi che ha travolto non soltanto la struttura economica della Calabria evidenzia Arruzzolo -  ma sta intaccando in profondità la natura stessa del nostro essere comunità. Tutti i settori tradizionali del tessuto produttivo calabrese sono in ginocchio, a partire dall’agrumicoltura,  e non bastano certamente le pochissime eccellenze di nicchia ad innescare quei necessari effetti moltiplicatori che permettano in un lasso di tempo ragionevole di agganciare la congiuntura economica favorevole. Dall’analisi dello Svimez – prosegue Giovanni Arruzzolo – parte un allarme che è anche una sfida, ardua, se vogliamo, ma inevitabile. Un’indicazione che non concede alibi a chi ha la responsabilità di governo della cosa pubblica, alle istituzioni locali, soprattutto, che sono il primo interfaccia dei bisogni e delle difficoltà quotidiane di centinaia di famiglie. Da qui a fine anno – continua il presidente del gruppo del Ncd -  il Consiglio regionale e la Giunta devono dimostrare ai calabresi ed all’Italia che il cambio di passo c’è davvero, che stiamo mettendo in campo ogni sforzo che porti ad un risultato finalmente di segno positivo. Siamo consci dell’asfissiante quotidianità che ci impone di inseguire tutte le emergenze aperte e che si ripropongono di legislatura in legislatura senza soluzione di continuità, ma qui e adesso siamo tutti chiamati con grande spirito unitario ad innalzare i contenuti dell’iniziativa politico-istituzionale, di come costruire con il Governo centrale e l’Europa un rapporto costante, di reciproca fiducia, per allontanare lo spettro del disimpegno di centinaia di milioni di euro di Fondi comunitari, che servono non solo per ammodernare le grandi via di comunicazione di questa regione, per terra, mare e cielo, ma per irrobustire il collante sociale così messo a dura prova dalla mancanza sufficiente di reddito per fare fronte alle necessità giornaliere. Ecco perché – sostiene Giovanni Arruzzolo – diventa incomprensibile agli occhi di un’opinione pubblica così frastornata il vecchio balletto della politica, delle riunioni estenuanti che poco o nulla risolvono,anzi, avvelenano ulteriormente il rapporto tra l’uomo della strada e le istituzioni. Qui non si tratta più – afferma Arruzzolo – e lo dico con sincera preoccupazione, di come mediare tra opposti modi di vedere e di gestire il governo della Calabria, ma di aprire una stagione nuova che metta fine a taluni riti consunti della politica che la gente rifiuta in maniera chiara, aprendo le istituzioni tutte al contributo dei corpi democratici intermedi della società calabrese, a partire dagli Atenei, dal mondo delle professioni e della cultura, dai rappresentanti del mondo del lavoro, per una costruire un ‘Patto tra calabresi’ capace di condensare i punti nodali per aprire le strade allo sviluppo e valorizzare quello che sappiamo fare meglio, a partire dall’agricoltura e dalla montagna. Il Consiglio regionale – conclude Giovanni Arruzzolo – deve dunque riprendere la sua funzione di interlocutore privilegiato con la società civile calabrese e nazionale, di luogo naturale per elaborare indicazioni di lavoro agli imprenditori attraverso una seria programmazione di politiche economiche che orientino chi ancora ha forza e voglia di mettere in campo risorse, di scommettere sul futuro di questa nostra regione che mai come adesso necessita di una forte e determinata guida politica capace di spingerla verso un avvenire migliore".  

 

"Se non fosse per le pensioni, migliaia di meridionali sarebbero condannati all’inedia"

"La gravità non è rappresentata solo dai dati forniti dalla Svimez, di per sé allarmanti, ma dall’inesistenza di provvedimenti strutturali per fronteggiare, specie nelle aree più storicamente svantaggiate del Paese, povertà, spopolamento e disoccupazione". Lo sostiene la consigliera regionale di Calabria in Rete Flora Sculco a proposito del Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno presentato alla Camera. "Se non fosse per le pensioni, che via via vanno a esaurirsi - aggiunge la consigliera regionale - migliaia di famiglie e di giovani meridionali sarebbero condannati all’inedia. Altro che valorizzazione dei talenti ed economia digitale! Si stanno condannando, non dotando il Paese di una strategia di risanamento e rilancio del Mezzogiorno e non adottando un piano straordinario di interventi per colmare lacune infrastrutturali e sostenere lo sviluppo della Calabria, che fa caso a sé persino nel Mezzogiorno, intere generazioni al degrado sociale, alla sfiducia verso le istituzioni ed al disimpegno civico. Continuare a dire che il Paese non si rialza se non si rialza il Sud, a questo punto suona persino come presa in giro".

Nicolò (FI): "Giunta Oliverio connivente del Governo Renzi che maltratta la Calabria"

"La gravità non è rappresentata solo dai dati forniti dalla Svimez, di per sé allarmanti, ma dall’inesistenza di provvedimenti strutturali per fronteggiare, specie nelle aree più storicamente svantaggiate del Paese, povertà, spopolamento e disoccupazione”. Lo sostiene la consigliera regionale di Calabria in Rete Flora Sculco a proposito del Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno presentato alla Camera. “Se non fosse per le pensioni, che via via vanno a esaurirsi - aggiunge la consigliera regionale - migliaia di famiglie e di giovani meridionali sarebbero condannati all’inedia. Altro che valorizzazione dei talenti ed economia digitale! Si stanno condannando, non dotando il Paese di una strategia di risanamento e rilancio del Mezzogiorno e non adottando un piano straordinario di interventi per colmare lacune infrastrutturali e sostenere lo sviluppo della Calabria, che fa caso a sé persino nel Mezzogiorno, intere generazioni al degrado sociale, alla sfiducia verso le istituzioni ed al disimpegno civico. Continuare a dire che il Paese non si rialza se non si rialza il Sud, a questo punto suona persino come presa in giro".

Calabria al palo, Scalzo aspetta "un enorme flusso di denaro"

“Chi vive quotidianamente il Sud, chi fa politica in questa terra, chi opera in regioni di frontiera come la Calabria non è rimasto assolutamente sorpreso dalle anticipazioni del rapporto Svimez che fotografano una situazione nota a tutti da anni. Il Mezzogiorno – afferma il consigliere regionale del Pd Antonio Scalzo - è fermo al palo e quasi non fa più notizia. Probabilmente, avrebbe maggiore appeal giornalistico se il mondo politico, di cui tutti noi facciamo parte, invece di attribuire ad altri le cause di questa situazione, facesse un'utile e costruttiva quanto inedita autocritica. Il Sud sta finendo per staccarsi dal resto del Paese, per trasformarsi in un'appendice destinata al ‘sottosviluppo permanente’ indicato dallo Svimez. Oggi, com'è naturale che avvenga in politica, le attenzioni vengono rivolte a chi ha la responsabilità di guidare l'Italia, a cui sono richiesti provvedimenti speciali per il Mezzogiorno, certamente indispensabili per far fronte a una questione meridionale rimasta drammaticamente irrisolta fin dall'Unità d'Italia”. Aggiunge Scalzo: “Lo stesso presidente Renzi, dallo scorso anno, avviando un ciclo di visite periodiche nelle regioni meridionali, compresa la Calabria, ha colto la gravità della condizione del Sud. Oggi, rispetto a qualche mese fa, anche lo scenario politico-istituzionale è mutato e ci consegna un'Italia meridionale interamente governata dal centrosinistra. Segno questo del convinto sostegno ma anche delle aspettative che i cittadini ripongono nel progetto politico che vede protagonista il Partito Democratico. Al tempo stesso, una tale visione d'assieme attribuisce alla classe dirigente meridionale una responsabilità in più, quella di ben governare per avviare a soluzione gli atavici problemi che affliggono il Mezzogiorno. In Calabria siamo convinti che la nuova fase politica avviata con il presidente Oliverio possa rispondere alle attese dei cittadini. Ma siamo altresì certi della necessità di un lavoro sinergico con il governo Renzi. Solo la piena condivisione di obiettivi e strumenti tra il livello regionale e quello nazionale può infatti aprire la strada alla svolta che i calabresi e i meridionali attendono da troppo tempo. In questo senso, se è auspicabile un organo di raccordo politico-istituzionale sul versante della coesione territoriale, è addirittura vitale un forte intervento dell'Italia a livello europeo affinchè i vincoli del patto di stabilità vengano allentati. Anche nell'esperienza che stiamo conducendo al Comitato delle Regioni di Bruxelles intendiamo fornire un contributo volto ad attenuare un rigorismo che, se portato al parossismo, si tradurrebbe in una penalizzazione delle regioni dell'ex Obiettivo Convergenza. Affrancare dai limiti stringenti del patto di stabilità gli oltre 22 miliardi di euro che l'Europa mette a disposizione del Sud per occupazione e industria significherebbe agevolare in maniera decisa il processo di sviluppo economico e sociale delle nostre Regioni. Per raggiungere questo obiettivo, però - conclude il consigliere regionale del Pd -  occorre che l'Italia si presenti politicamente coesa, nel solco tracciato dal governo. In Calabria abbiamo di fronte a noi la grande partita dei nuovi strumenti della programmazione cofinanziata per infrastrutture, politiche sociali e politiche agricole ma non possiamo fare a meno della spinta dei programmi nazionali che sono vitali per ridurre il gap con il resto del Paese. Se a tutto questo aggiungiamo le opportunità dei finanziamenti diretti è evidente che da qui a qualche anno un enorme flusso di denaro potrà muoversi verso la Calabria senza interventi a pioggia ma con misure mirate ed efficaci. Occorre lavorare in questa direzione per intraprendere la strada del cambiamento”.  

 

Calabria: l'azzardo di restare, la lucidità di fuggire

Sconcerto, sorpresa, dichiarazioni a mezzo fra l'incredulo e la stigmatizzazione nei confronti del destino cinico  e baro: sono state queste le reazioni più comuni in Calabria, e non solo, dopo la pubblicazione, avvenuta giovedì, dei dati annuali forniti da Svimez sullo stato di salute dell'economia meridionale, e calabrese nel caso specifico che ci interessa da vicino. Ma, forse, è arrivato il momento di cogliere l'occasione al volo e sollevare, una volta per tutte, i veli abilmente, ma neanche tanto, trasformati nei comodi panni degli alibi perfetti per giustificare qualcosa che non lo è, a maggior ragione nel pieno di una crisi che, al netto della propaganda renziana, è assai distante dal terminare la sua parabola ascendente. A fare specie, in tutta onestà, non è la dichiarazione di questo o quel politico, che nulla avrebbero potuto nella circostanza se non prodigarsi nella redditizia attività della vendita di fumo, quanto le considerazioni allarmistiche della stampa. E' ben più grave questo atteggiamento perché ruolo dell'informazione dovrebbe essere quello di "educare" l'opinione pubblica provando, nei limiti delle capacità di ciascuno, a raccontare la realtà, evitando di falsificarla per pigrizia ed autocensura. E, diciamolo in tutta franchezza: c'era forse la necessità che fossero gli impietosi numeri spiattellati da Svimez a renderci edotti sul sottosviluppo che sommerge la Calabria, oggi come ieri? Dov'è la notizia? Dov'è la novità? Probabilmente, la vera anomalia rispetto alla rassegnata quotidianità che segna questo angolo di pianeta è la consapevolezza, celata, ma pur sempre presente, che il Mezzogiorno sia ormai irrecuperabile. Troppi i danni procurati dal venefico assistenzialismo risalente all'epoca delle "vacche grasse" e che, adesso, non può più reggere perché privo delle risorse finanziarie risucchiate dalla recessione globale. Una stagnazione che, insieme ai parametri europei, ha imposto vincoli stringenti ai conti nazionali. Era chiaro fin dal principio che le conseguenze più devastanti per le regioni meridionali sarebbero arrivate anni dopo rispetto ai drammi, relativi, vissuti da Roma in su. E, certamente, non sarà questo il punto apicale delle difficoltà e dei disagi in cui si dibatte,  e sempre più, si dibatterà, il Sud. Un'area che ha sempre dormito sotto il morbido guanciale della Pubblica Amministrazione (zona franca per eccellenza davanti a concetti alieni come produttività, efficacia, meritocrazia, laboriosità), in futuro resterà intrappolata nell'impossibilità per lo Stato di pompare i denari finiti nei decenni ad alimentare il culto del "minimo sindacale". Un dramma che deve essere affiancato a quello rappresentato dalla passività di una schiatta di imprenditori, fatte le debite eccezioni, che senza l'abituale caffè a braccetto con il capobastone della politica locale, nulla sarebbe stata in grado di produrre. Sono troppi, infatti, per essere considerati marginali, i casi di titolari di aziende incapaci di saper stare sul mercato, pianeta a gran parte di loro del tutto sconosciuto. Se, invece, di coltivare l'infinito lamento recriminando contro avvenimenti accaduti un secolo e mezzo addietro, imputando alle modalità di unificazione dell'Italia la storica arretratezza, culturale, sociale ed economica del Mezzogiorno, avessimo colto, tutti insieme, la sfida lanciata un paio di decenni addietro dalla Lega Nord, il corso degli eventi sarebbe cambiato. Volevano la secessione perché stanchi di essere vessati da "Roma ladrona" che sperperava denaro pubblico per alimentare le clientele meridionali? Bene, anzi, benissimo: una classe dirigente seria, consapevole della propria forza, sicura delle proprie potenzialità, avrebbe risposto: "Presente, noi ci siamo, e che federalismo fiscale sia, ma quello vero, non quella versione infernale che ha ingigantito la voracità dei "lupi famelici" seduti nei Palazzi della politica. Effettivamente, a ben pensarci, immaginare che si ergesse a paladino degli interessi strategici dei cittadini calabresi uno dei tanti mediocri imbonitori che infestano in lungo ed in largo le nostre lande, sarebbe stato un sogno impossibile da realizzare. Sebbene, anche nel ristretto perimetro dei depositari delle chiavi amministrative degli enti calabresi non siano mancati lodevoli esempi di pragmatismo e buona amministrazione. Si tratta, però, di una infima minoranza a fronte dei tanti, tantissimi, inutili collettori del consenso la cui unica preoccupazione è brigare, lecitamente ed illecitamente, per ampliare il proprio rispettivo parco buoi. E, in assenza del coraggio di cui avrebbero dovuto essere portatori gli amministratori locali, sarebbe stato quanto mai opportuno che ad alzare la testa prendendo in mano il proprio destino, fosse l'opinione pubblica. Come noto, nulla di tutto ciò si è verificato, tutt'altro. Prenderebbe troppo spazio elencare qui l'infinito rosario di indicatori che certificano, da tempo immemorabile, la presenza di due Italie, ma guai a dirlo, guai ad ammetterlo davanti allo specchio delle nostre sconfitte, perché c'è sempre un responsabile altro, c'è sempre un colpevole da additare per autoassolverci da colpe ataviche. La verità, solida come roccia di granito, tuttavia, è sotto gli occhi di tutti, senza che ci sia bisogno di affondare le radici delle riflessioni in altre ere geologiche: la testimonianza, lampante e recente, ci è regalata dall'ignavia con cui non riusciamo nemmeno a spendere i fondi provenienti dalla tanto vituperata Europa. La causa è da ricercare nella superficialità, nell'indifferenza alla custodia del bene comune, anche se preferiamo continuare a crogiolarci nelle "imperdonabili atrocità" che sarebbero state commesse dai "governanti" che avrebbero saccheggiato le regioni meridionali a vantaggio di quelle settentrionali. Indipendentemente dal fatto che questa è una versione di comodo che fior di storici ed economisti hanno contestato, carte e numeri alla mano, le domande razionali da porci vanno in tutt'altra direzione: se anche così fosse stato? Dov'era e dov'è tuttora il tanto decantato orgoglio meridionalista? Perché non ci siamo prodigati nel dare vita ad un tessuto imprenditoriale di successo, valorizzando nei fatti e non con il chiacchiericcio tipico dei perdenti, le "meraviglie naturali" di cui tanto ci riempiamo la bocca? Siamo pronti ad inalberarci solo quando ci sentiamo feriti nel nostro insulso egoismo protezionista, e allora sì, ci mobilitiamo per impedire che i Bronzi di Riace possano essere finalmente ammirati dal mondo durante l'Expo di Milano. Cosa importa se poi, terminata la bufera mediatica, restano nascosti perché custoditi nel Museo di una città dove i turisti sono una razza protetta, tanto esiguo è il loro numero? Diventiamo intransigenti se qualche esperto fa sommessamente notare che l'aeroporto di Reggio Calabria, la cui pista si allunga  in mezzo agli edifici abusivi della periferia sud della città, merita di essere chiuso perché antieconomico ed in perdita costante di voli e passeggeri. Un carrozzone famelico che inghiottisce soldi dei contribuenti, ma abulico nell'essere attrattivo per il bacino di utenti, sempre potenziale per carità, elevato a totem dai politici nostrani al momento dell'innalzamento di inutili e ridicoli pennacchi. Ma sì, stracciamoci le vesti per ogni singolo centesimo di euro che riteniamo ci sia stato "rubato" e, contemporaneamente, assistiamo silenti all'impegno straordinario profuso dai veneti recentemente tormentati da un tornado. Rimboccatisi le maniche e, armati della loro proverbiale abnegazione e buona volontà, si sono immediatamente messi all'opera senza aspettare il preliminare "aiutino romano". Ovviamente hanno anche loro fatto la conta dei danni: 100 milioni di euro. Peccato che, nelle stesse ore in cui nella Capitale i detentori del "potere" si calavano le braghe davanti alla rivolta di lsu e lpu che isolavano la Calabria con sit-in organizzati sull'A3 ed all'accesso agli imbarcaderi di Villa San Giovanni, gli stessi "padroni del vapore" si voltavano dall'altra parte di fronte alle richieste provenienti dall'attiva e laboriosa provincia veneta. Perché chiunque abbia un minimo di familiarità con quelle zone sa bene che la vera differenza fra "noi" e "loro" sta tutta qui: nell'approccio imprenditoriale che chiunque, tra Rovigo e Belluno, è in grado di padroneggiare con intelligente perizia, sia esso il cameriere di un locale, la commessa di un negozio o un imprenditore che esporta in tutto il mondo. Ed è una caratteristica che si respira nell'aria girando per il Trevigiano, quasi si fosse negli Stati Uniti dove leggenda vuole che un'opportunità per mettere a frutto il proprio talento sia riservata a chiunque in omaggio al celebre "American Dream". Senza fare demagogia d'accatto, ma è un fatto oggettivo ed incontrovertibile che se a Conegliano Veneto ci imbattessimo in un mozzicone di sigaretta per terra avremmo a disposizione materiale buono per scrivere un articolo. In Calabria, Sicilia, Campania, quantità infinite di rifiuti fanno parte del panorama urbano. Cosa c'entri questa radicale differenza nel tasso di civiltà tra due popoli assoggettati alle medesime regole statuali, con i presunti soprusi commessi dagli "unificatori nazionali" non è dato capire, ma, come scritto in precedenza, aiuta parecchio per consolare le nostre piaghe, senza capire che è proprio questo immobile vittimismo ad averci fatto piombare nel baratro del nulla da cui fuggire a gambe levate. Ma, si dirà, possiamo pur sempre godere degli spettacoli offertici dalla Natura, panorami mozzafiato che estasiano: esatto, ma sono gli unici capolavori divini su cui il calabrese non ha potuto mettere mano, perché, se avesse potuto, avrebbe devastato anche quelli. 

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