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Omicidio di Fermo, l'altra verità: i testimoni smentiscono la versione della vedova

Dalle testimonianze raccolte dagli inquirenti sembra emergere una verità differente rispetto a quella raccontata finora. L'omicidio di Emmanuel, il cittadino nigeriano morto a Fermo dopo una lite, sembra aver avuto una dinamica completamente diversa rispetto a quanto riferito  dalla moglie della vittima. Secondo i due vigili urbani intervenuti sul posto, quando sono arrivati sul luogo in cui è accaduto il fatto, Emmanuel, era ancora vivo e si sarebbe accasciato al suolo in un secondo momento. Il racconto dei due agenti è contenuto in una relazione di servizio allegata agli atti dell’inchiesta e nel verbale di sommarie informazioni redatto dalla polizia su delega della magistratura inquirente. Le dichiarazioni rese dai due vigili urbani coinciderebbero con quelle degli altri quattro testimoni. Si tratta di quattro donne, due delle quali sono considerate testi chiave in quanto avrebbero assistito alla lite ed avrebbero raccontato, ad esempio, che a scagliare il palo segnaletico contro Mancini sarebbe stato Emmanuel e non il contrario. Le testimoni, ritenute attendibili sia dalla Procura che dal Gip, smentirebbero, quindi, la versione raccontata dalla vedova di Emmanuel, Chinyery, che aveva raccontato che a scagliarsi con violenza contro lei e il marito, che avevano solo chiesto verbalmente conto dell’insulto razzista, era stato Mancini. Non sarebbe stato così, tanto che ora la stessa nigeriana potrebbe rischiare l’incriminazione per calunnia. Le altre due testimoni sono un’operatrice dello Sprar e un’insegnante di italiano. Entrambe sarebbero arrivate poco dopo le prime due. Tuttavia, una delle due avrebbe dichiarato di aver visto la donna di colore "colpire Amedeo sulla nuca, usando una scarpa che recava in mano". Dai dettagli forniti dai testimoni e dai due vigili urbani emergerebbe, quindi, una dinamica completamente diversa rispetto a quella tratteggiata dalla moglie della vittima.

Caso Moro: in via Fani c'era un boss della 'ndrangheta

"Grazie alla collaborazione del Ris dell’Arma dei Carabinieri, possiamo affermare con ragionevole certezza che il 16 marzo del 1978 in via Fani c’era anche l’esponente della ‘ndrangheta Antonio Nirta". E’ quanto afferma in una nota il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, Giuseppe Fioroni.  “Il comandante del Ris, Luigi Ripani, - aggiunge Fioroni - che ringrazio per la collaborazione, ha inviato in questi giorni l’esito degli accertamenti svolti su una foto di quel giorno, ritrovata nell’archivio del quotidiano romano Il Messaggero, nella quale compariva, sul muretto di via Fani, una persona molto somigliante al boss Nirta. Comparando quella foto con una del boss, gli esperti sostengono che la statura, la comparazione dei piani dei volti e le caratteristiche singole del volto mostrano una analogia sufficiente per far dire, in termini tecnici, che c’è ‘assenza di elementi di netta dissomiglianza’”. Nato a San Luca, in provincia di Reggio Calabria, l'8 luglio 1946, Antonio Nirta è nipote del capo clan suo omonimo, morto nel 2015, all'età di 96 anni. A mettere, per la prima volta, Nirta in relazione con il caso Moro fu il pentito di 'ndrangheta Saverio Morabito. Stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Nirta, detto ''due nasi'' per la dimestichezza con la doppietta, sarebbe stato un confidente del generale dei carabinieri Francesco Delfino e uno degli esecutori materiali del sequestro di Aldo Moro". Per cercare di venire a capo dell'ennesimo mistero che circonda la strage di via Fani e la morte dello statista democristiano, saranno condotte ulteriori verifiche. Secondo Fioroni, infatti, sarebbe “in corso una perizia sul volto di un altro personaggio legato alla malavita e che comparve tra le foto segnaletiche dei possibili terroristi il giorno dopo il 16 marzo: si tratta di Antonio De Vuono, killer spietato, morto nel 1993 in un carcere italiano”. “Le informazioni che abbiamo fin qui acquisito – conclude Fioroni - ci consentono di dire che la relazione di fine anno sulla nostra attività sarà di grande interesse per tutti coloro che chiedono di conoscere la verità del delitto di via Fani”.

Incidente ferroviaro in Puglia: ufficializzato il bilancio della tragedia, 23 morti e 52 feriti

E' di 23 morti e 52 feriti il bilancio della sciagura ferroviaria avvenuta intorno alle 11,30 di ieri sulla tratta ferroviaria tra Corato ed Andira, in Puglia. Ad ufficialiazzare i dati, sono stati il presidente della Regione, Michele Emiliano ed il prof.Franco Introna (mediciana Legale) nel corso di una conferenza stampa. Otto dei 24 feriti ancora ricoverati, sono in prognosi riservata, tra cui il piccolo Samuele che oggi compie 7 anni e che era con la nonna, morta nell'incidente ferroviario. I soccorritori hanno lavorato tutta la notte tra le lamiere contorte ed i detriti per verificare che non ci fossero altre vittime. Non ci sono dispersi.  Nella mattinata di oggi, al Policlinico di Bari, i familiari hanno preso parte al triste rituale del riconoscimento dei corpi dei congiunti. Una sola delle vittime non è stata ancora identificata. Intanto sono state recuperate le scatole nere dei due treni coinvolti nello scontro.

Incidente ferroviario in Puglia, sale a 27 il numero delle vittime

 Si fa più pesante il bilancio dell'incidente ferroviario avvenuto ieri in Puglia. Il numero delle vittime accertate è, infatti, salito a ventisette, mentre i feriti sono oltre cinquanta. A causare la sciagura potrebbe essere stato un errore umano. L'ipotesi è stata ventilata dalla procura di Trani, che valuta comunque tutte le ipotesi, compresa quella del guasto. "Non conosciamo il numero dei passeggeri perchè non è un aereo e non abbiamo una lista. Non siamo quindi attualmente certi sul bilancio definitivo della tragedia", ha detto il procuratore aggiunto di Trani, Francesco Giannella, che dirige l'inchiesta sul disastro ferroviario. "Non ci sono indagati, almeno per ora. Siamo ancora in una fase conoscitiva dell'inchiesta, ma non credo che questa fase durerà molto". Ha spiegato Giannella.

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