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Call center, l’accordo esclude di fatto le sedi periferiche

È stato raggiunto ieri l’accordo fra la Infocontact srl, la Abramo Customer Care Spa, le Rsu delle unità produttive di Lamezia Terme e le segreterie regionali e territoriali di Fistel Cisl, Uilcom Uil, Slc Cgil e Ugl Telecomunicazioni. La Abramo subentra quindi alla Infocontact nei rapporti di lavoro con effetto dal 1° giugno 2015. Un’intesa faticosa, raggiunta dopo una serie di contrasti quando ormai sembrava saltata. Fra i tecnicismi del verbale non figura uno specifico riferimento ai centri periferici e, d’altronde, i sindacati avevano spiegato già in precedenza che di queste situazioni si sarebbe parlato solo dopo l’accordo generale. Ma quest’ultimo, nella sua vaghezza, lascia inizialmente prefigurare scenari negativi considerati i riferimenti alle esigenze di “normalizzare” e di “rendere sostenibile l’operazione in termini economici e finanziari” per poi tra le righe inserire la dicitura secondo la quale “per il personale mantenibile viene confermata la sede di lavoro di Lamezia Terme”. A conferma della volontà di fermare le attività dei call center di Serra e Stefanaconi viene precisato che “il personale non mantenibile avrà diritto di precedenza nelle assunzioni presso il sito di Lamezia Terme che l’acquirente effettuerà entro un anno dalla data del trasferimento” e che “i lavoratori individuati come facenti parte del personale mantenibile, che non accettino il passaggio all’acquirente alle condizioni di cui a questo accordo resteranno in carico all’alienante”. In più, “Infocontact srl in amministrazione straordinaria, fatte salve le risorse che essa riterrà di mantenere per far fronte alle proprie esigenze organizzative, esonererà dal servizio il personale rimasto a proprio carico al perfezionamento della cessione, e avvierà per essi la procedura di licenziamento collettivo”. Svanisce, dunque, l’illusione di un pur precario posto di lavoro per tanti giovani che avevano creduto in quest’esperienza mettendoci impegno e sacrifici e riponendoci qualche speranza per il futuro. Operatori che si sono spesso sentiti abbandonati dalle Istituzioni, temporaneamente calmati con rassicurazioni generiche e poi lasciati al loro destino. Una scena già vista da queste parti, secondo un canovaccio che si ripete senza che nessuno riesca a modificare il destino di una terra dalle mille opportunità che però continua ad inseguire sempre il minimo indispensabile.

Fisco, Calabria e Molise uniche regioni in cui cala l'Irpef

Stavolta la Calabria si differenzia per una notizia positiva per i cittadini. Secondo un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia concernente le addizionali Irpef, nel 2015  per Emilia Romagna, Lombardia e Provincia autonoma di Trento vi è stato un lieve aumento, mentre per 13 regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Marche, Provincia Autonoma di Bolzano, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto) la situazione è rimasta identica. La sorpresa è che in 2 regioni le aliquote sono diminuite: calabresi e molisani possono sorridere. Infatti, in questi due territori, a differenza dell’anno scorso, nel 2015 non è stata applicata la maggiorazione dello 0,3 per cento prevista per legge per le regioni che sono sottoposte ai piani di rientro a causa del deficit sanitario. Diverso il quadro per Lazio, Liguria e Piemonte, dove gli aumenti sono abbastanza consistenti, specie per i contribuenti con redditi oltre i 35.000 euro. L’anno di riferimento di questo studio è quello di competenza: va detto che l’importo delle addizionali regionali Irpef del 2014 viene versato quest’anno e quello relativo al 2015 nel 2016. Il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi spiega che “la quasi totalità delle regioni ha deciso di non aumentare l’aliquota fino al livello massimo”, puntualizzando che, dal 2015, i presidenti delle regioni “hanno la possibilità di elevarla sino al 3,33 per cento: opzione che è stata sfruttata solo dal Piemonte, per i redditi oltre i 75.000 euro, e dal Lazio”. Ulteriore precisazione: “la legge di Stabilità ha tagliato 3,5 miliardi di euro di trasferimenti alle regioni a statuto ordinario. Nonostante ciò, non aver agito sulla leva fiscale dimostra che la stragrande maggioranza dei presidenti ha operato con un grande senso si responsabilità nei confronti dei propri residenti”. 

 

Serra, Stefania Craxi: “La grande idea di mio padre per la Calabria”

Da quando, il 15 febbraio scorso, ci è giunta per presentare il libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, Stefania Craxi non ha smesso di pensare alla cittadina della Certosa. E, nel tardo pomeriggio di ieri, ci è tornata dirigendosi prima di tutto a Santa Maria del Bosco. Qui, fra un incontro e l’altro con residenti e visitatori che hanno voluto condividere alcuni ricordi sul padre Bettino, ci ha concesso qualche riflessione. Chiamata ad una considerazione sulle poco edificanti dichiarazioni di Vittorio Sgarbi e Matteo Renzi sulla nostra regione, ha spiegato che “se la Calabria non fosse stata trattata come terra di conquista da colonizzare, se la Calabria avesse avuto strutture adeguate ad un territorio che da un punto di vista turistico non ha niente da invidiare, se la Calabria avesse potuto avvalersi davvero della sua posizione strategica sul Mediterraneo, se avesse avuto l’attenzione che merita e buoni amministratori sul territorio, oggi sarebbe un’eccellenza”. Inevitabile il confronto con le tematiche di oltre 30 anni addietro e, in particolare, con il modo di affrontare la Questione meridionale che, a suo avviso, “è la grande assente nell’agenda di governo”. All’epoca Bettino Craxi “aveva per la Calabria e la Sicilia un progetto straordinario che non era, per come è stato semplificato, il Ponte sullo Stretto, ma l’idea di creare tra Messina e Reggio una sola grande capitale denominata Mediterranea che, decretata porto franco, sarebbe stata l’Hong Kong di tutta l’area” bagnata dall’omonimo mare. Invece, “in questi anni non abbiamo visto progetti lungimiranti che avrebbero potuto cambiare il volto di questa regione”. E ciò, per come lascia intuire, sarebbe legato al modo di agire dei politici della Seconda Repubblica. “Quello di Renzi -  ha affermato quasi volendo tracciare un parallelismo capace di evidenziare le differenze – è un riformismo senza cultura riformista e senza riforme degne di questo nome e che abbiano alla base progetti organici e visioni a lungo termine che sottintendano allo sviluppo di una grande Nazione quale l’Italia deve essere. Abbiamo assistito a riformicchie a proprio uso e consumo, all’occupazione del potere per sé e per i propri amici, calpestando la sovranità nazionale e popolare. Abbiamo udito un linguaggio violento da Balilla che tende ad escludere pezzi importanti della società e dei corpi sociali dal governo del Paese. Prova ne è che è stata portata avanti una legge elettorale che consegna a una minoranza  la guida del Paese. Dopo un anno di governo – ha attaccato ancora Stefania Craxi - non c’è un indicatore economico, dall’occupazione alla crescita, dal debito pubblico alla tassazione, che sta cambiando verso all’Italia”. Quanto al centrodestra, “è ridotto in poltiglia. O ritroverà attorno a un progetto politico la sua unità e la sua capacità di fare opposizione o, se prevarranno gli egoismi, per il Paese sarà solo avventura”. Ma cosa si deve fare per riaccendere la speranza nel futuro? “Bisogna restituire questo Paese finito nelle mani delle lobbies bancarie e finanziarie, magistrali e burocratiche – sostiene con decisione Stefania Craxi – nelle mani degli italiani. Che vuol dire nelle mani degli industriali privati e pubblici, dei contadini, degli artigiani, dei commercianti e dei professionisti. E vuol dire soprattutto, senza giovanilismi, nelle mani dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze di questo Paese che per intelligenza, fantasia, coraggio e volontà di conquista non sono secondi a nessuno”.

Serra, Tassone attacca la maggioranza: “Burlesque su deleghe e presidenza del consiglio”

Punge ancora gli inquilini del palazzo municipale di piazza Carmelo Tucci, perché “più che al teatro, il sindaco Rosi e la sua squinternata maggioranza sembrano ispirarsi al burlesque”. Mirko Tassone mette nel mirino quella che definisce “la peggiore amministrazione che Serra abbia mai conosciuto” ritenendola protagonista di una giornaliera “grottesca pantomima”. In particolare, per l’esponente dell’opposizione, “l’ultimo, inglorioso, spettacolo messo in cartellone dalla Rosi&co è stato rappresentato ieri mattina con il consiglio comunale svoltosi nel vuoto salone di palazzo Chimirri. A distanza di quattro anni dal suo insediamento – afferma - la maggioranza ha dimostrato, ancora una volta, di avere scarsa dimestichezza con la formulazione dell’ordine del giorno. Trattandosi del primo consiglio successivo al varo della nuova giunta, l’ordine del giorno avrebbe dovuto contemplare le ‘comunicazioni del sindaco’. Un passaggio obbligato, previsto dalla normativa, al fine di rendere ufficialmente edotti i consiglieri sulla composizione del nuovo esecutivo cittadino. Tuttavia, al di là del vizio di forma, non il primo e neppure l’ultimo,  ciò che suscita più sconcerto è la motivazione principale per cui è stata convocata l’assise cittadina, ovvero, l’elezione del presidente del consiglio”. Su questo aspetto, il rappresentante di “Al lavoro per il cambiamento”, opera un confronto con il lustro precedente specificando che “nel corso della passata consiliatura, quando la figura del presidente del consiglio venne introdotta, chi oggi la difende e la usa per moltiplicare le poltrone da spartire, la bollò come ‘un’inutile spreco’ ” ed evidenzia che “il nuovo presidente è anche il vecchio”. L’elezione di Giuseppe De Raffele è infatti sarcasticamente vista da  Tassone come emblema della “lucidità e della lungimiranza di chi dovrebbe guidare le sorti della nostra comunità” dato che “l’attuale presidente dopo essersi polemicamente dimesso è rientrato mestamente all’ovile. Sarebbe interessante – sostiene con malizia Tassone - conoscere le motivazioni che lo hanno indotto a ritornare sui propri passi. Forse, svanita l’ambizione di entrare in giunta, avrà pensato che la poltrona di presidente è sempre meglio dello sgabello di semplice consigliere”. Da queste considerazioni nascono alcuni interrogativi: “possibile che con tutti i problemi che attanagliano Serra la preoccupazione dell’amministrazione comunale sia quella di eleggere un inutile presidente del consiglio? Possibile che, dopo la lunga gestazione, una volta partorita la nuova giunta, il sindaco non abbia ancora individuato le figure cui assegnare le deleghe?”. A questo punto il consigliere di minoranza affronta il tema dell’attribuzione delle responsabilità ai componente dell’esecutivo e rileva che “senza un campo d’azione ben definito e circoscritto, la figura dell’assessore più che inutile rischia di essere dannosa. Occupandosi tutti di tutto finisce, inevitabilmente, che nessuno si occupi di niente ed i risultati lo dimostrano. Alla luce dello stato in cui versa Serra, alla luce dei problemi, molti dei quali, potranno essere risolti solamente nel corso degli anni – ammonisce Tassone - sarebbe necessario avere una giunta dinamica, composta da persone qualificate, in grado di approcciare ed aggredire le questioni più spinose. Solo in seguito all’attribuzione delle deleghe, il sindaco può valutare compiutamente l’azione e l’efficacia delle misure messe in atto da ciascun assessore. Una valutazione che permetterebbe di non brancolare nel buio e di conoscere in tempo reale lo stato di attuazione dei programmi affidati ai singoli assessori. Certo – è l’ennesimo biasimo - non v’è dubbio che per poter valutare i programmi bisognerebbe prima averli!”. Tassone affronta quindi la questione della produttività dell’esecutivo volgendo lo sguardo ai “componenti della giunta che hanno combattuto con il coltello tra i denti pur di rimanere o di entrare nella stanza dei bottoni. Ebbene – rimarca - la smania dell’assessorato avrebbe dovuto portarli a battere vigorosamente i pugni sul tavolo del sindaco pur di costringerlo ad assegnargli le deleghe. Ma, con tutta evidenza, non essendo lo stipendio vincolato al lavoro svolto, gli assessori preferiscono rimanere nel loro favoloso torpore. La scelta di non attribuire le deleghe, potrebbe, eventualmente, trovare parziale giustificazione in presenza di un sindaco decisionista, dinamico, capace di dare impulso all’azione amministrativa, di farsi carico dei problemi e di sopperire alle eventuali carenze dei suoi compagni di viaggio. Un sindaco – conclude Tassone - che dovrebbe essere, quindi, l’esatto opposto di quello che amministra Serra”.

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