Fusione, concluso lo studio del ministero dell’Interno: ecco i vantaggi
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Il Ministero dell’Interno ha pubblicato gli esiti di uno studio, ultimato alla fine dello scorso febbraio dagli esperti Roberto Pacella, Giorgio Milanetti e Giancarlo Verde, dal titolo eloquente: “Fusioni: quali vantaggi? – Risparmi teorici derivanti da un’ipotesi di accorpamento di comuni di minore dimensione demografica”. Si tratta di un lavoro puntuale che non solo svela le potenzialità che potrebbero derivare da un’operazione di aggregazione di più centri, ma sembra focalizzare le perplessità che sono concretamente emerse in queste ultime settimane nel dibattito nelle Serre. “Sarà utile – è infatti la conclusione dell’elaborato – cercare soluzioni che possano convincere le comunità locali a superare le logiche ‘di campanile’ ed a comprendere l’ineludibilità di tali misure, specialmente in considerazione dei vantaggi in termini di efficienza dei servizi e di minore pressione fiscale che ne deriverebbero a favore delle stesse”. Partiamo da un dato: le fusioni dal 1995 al 2013 sono state eventi rari (9 in tutto). Tutto cambia nel 2014 quando si sono contati 26 progetti realizzati in tal senso (10 in Lombardia con 25 comuni coinvolti, 7 in Toscana con 14 comuni coinvolti, 4 in Emilia Romagna con 12 comuni coinvolti, 2 nelle Marche con 5 comuni coinvolti, 2 nel Veneto con 4 comuni coinvolti e 1 in Campania con 2 comuni coinvolti - il contributo straordinario annuo complessivamente attribuito è stato pari a 9,53 milioni di euro). Il motivo è da rintracciare nelle disposizioni della legge di stabilità 2015 che hanno cercato di favorire i processi di fusione e unione di comuni con l’intento di promuovere la razionalizzazione e il contenimento della spesa degli enti locali attraverso processi di aggregazione e gestione associata. Sovente la fusione avviene fra 2 comuni, ma ci sono casi, come la fusione di Valsamoggia, in provincia di Bologna, in cui gli enti interessati sono 5. Ma veniamo alle opportunità: come riportato dallo studio, “per i comuni istituiti a seguito di fusione, che abbiano un rapporto tra spesa di personale e spesa corrente inferiore al 30%, fermi restando i limiti previsti dalla legislazione vigente e la salvaguardia degli equilibri di bilancio, non si applicano, nei primi 5 anni dalla fusione, i vincoli e le limitazioni relative alle facoltà assunzionali e ai rapporti di lavoro a tempo determinato”. Ciò significa che si avrebbe una sorta di sblocco e si potrebbe usufruire di personale aggiuntivo da utilizzare per innalzare la qualità dei servizi e, di conseguenza, quella della vita. Lavoratori per i quali non ci sarebbe il problema della copertura finanziaria perché con il decreto del ministero dell’Interno del 21 gennaio 2015 sono state definite, a partire dall’anno 2014, le modalità ed i termini di riparto e l’attribuzione dei contributi spettanti ai comuni nati nel 2014 proprio a seguito di progetti di fusione di comuni o fusione per incorporazione. Nello specifico, a questi nuovi enti per un decennio spetta “un contributo straordinario pari al 20% dei trasferimenti erariali attribuiti ai medesimi enti per l’anno 2010”. Dunque, risorse finanziarie maggiori che arrivano sul territorio e che possono essere usate per creare lavoro anche se il contributo viene erogato “entro il limite previsto degli stanziamenti finanziari previsti ed in misura non superiore, per ciascuna fusione, a 1,5 milioni di euro”. Appare, ad ogni modo, evidente che in un periodo storico condizionato da una grave crisi economica e sociale e da continui provvedimenti di riduzione della spesa pubblica, è indispensabile razionalizzare la spesa e compiere scelte lungimiranti in grado di far liberare risorse da destinare allo sviluppo.
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