Don Figliuzzi, il prete serrese che amava il vino e le donne

Serra ha dato tanti suoi figli alla Chiesa. In alcuni casi si è trattato di religiosi che hanno scalato le gerarchie ecclesiastiche fino a ricoprire ruoli importanti; in altri di uomini di fede che si sono limitati ad assolvere il loro ufficio senza infamia e senza lode; in altri ancora di sacerdoti che si sono distinti per la scarsa aderenza ai principi che avrebbero dovuto professare. Gli epigoni dell’ultima categoria non sono stati pochi, di qualcuno ci è stato tramandato anche il nome. Di uno, in particolare, si trova traccia in un volume scritto da don Santo Rullo e dedicato a Piminoro, piccola frazione del comune di Oppido Mamertina in provincia di Reggio Calabria. Il prete in questione, don Alfonso Figliuzzi nacque a Serra San Bruno il 5 febbraio 1854. Ordinato sacerdote il 13 marzo 1880, “predicò due volte in Mongiana nell’anno 18923, durante la Settimana Santa e nel mese di maggio”.  Dopo aver svolto la funzione di “coadiutore dell’arciprete di Nardodipace” e Santo Todaro, il 27 dicembre 1893 “chiese al Vescovo il trasferimento nella Diocesi di Oppido”. La richiesta fu accolta positivamente ed il 3 marzo 1894,  venne nominato parroco di Piminoro. Giunto nel piccolo borgo di montagna, don Figliuzzi rivelò ben presto la fragilità della sua fede, tanto da essere passato agli annali per la “debole vita spirituale”. Come se non bastasse, il parroco serrese, nel corso della sua “missione”, pastorale si distinse per la spiccata propensione alla lascivia. Come ricorda Rullo, nel suo scritto “non aveva la forza di reagire alla seduzione istintiva alla natura umana e con facilità si lasciava dominare dai comuni vizi del vino e della lussuria”. Il ritratto che ne è stato tramandato è impietoso. “Privo di motivazioni interiori e alieno da alte aspirazioni ideali, o religiose, solo e prigioniero di un ambiente chiuso e sprovvisto di tutto, assente ai fenomeni culturali e spirituali, lacunoso di zelo apostolico e di pietà eucaristica, appesantito da una natura fiacca e inoperosa, dove poteva trascorrere le lunghe serate invernali e le interminabili giornate estive se non nella compagnia dei consimili presso l’unico ritrovo del luogo, la bettola?”. Nella sferzante descrizione fattane da Rullo, non manca qualche nota di apprezzamento all’indirizzo di don Figliuzzi il cui “cuore buono, aperto al dialogo e all’amicizia” lo portava ad essere “comprensivo delle umane sofferenze”. In ogni caso, la vita dissoluta non gli impedì di organizzare il “Comitato Cattolico Parrocchiale”; di “richiamare l’attenzione dei Superiore sui danni causati dal terremoto alla Chiesa” o di acquistare “due canopei nuovi” e di far effettuare alcune opere di restauro all’interno della chiesa. Tuttavia, le ombre nella sua condotta sono superiori alle luci, a tal punto che, nel 1914, il vicario generale Francesco Samà attestò: “L’arciprete Figliuzzi ha dichiarato al sottoscritto che in ventun anno di arcipretura non ha mai celebrato le Messe per i Confratelli Sacerdoti defunti. Perciò egli alla sua morte non avrà diritto ad avere la Messa dagli altri”. L’attività parrocchiale del prete serrese si concluse il 29 giugno 1914, quando venne accolta la richiesta di rinuncia presentata il 5 febbraio dello stesso anno. Ottenuta una pensione annua di “lire 365”, don Alfonso Figliuzzi si trasferì a Serra, dove si spense, nel 1916, all’età di 62 anni.

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