Il magico “tempio” del bosco di Santa Maria

Tra il 1907 ed il 1911, il viaggiatore inglese Norman Douglas visita la Calabria. Il suo, però, più che un giro turistico è una vera e propria esplorazione. Animato da spiccata curiosità intellettuale, si muove con i mezzi più disparati pur di raggiungere la propria destinazione. Per cercare di conoscere da vicino una terra selvaggia, abitata, come diceva Dumas da “streghe e maghi”, Douglas non si sottrae a nessuna fatica. Nel corso del suo lungo e paziente peregrinare raggiunge anche le Serre. Partito da Caulonia, arriva nel paese della Certosa dopo aver attraversato Fabrizia. Di Serra, definita “uno dei luoghi più bigotti di Calabria”, non scrive niente di originale. Il racconto della sua brevissima permanenza inizia con una banale: “Può benissimo dirsi che la cittadina sia sorta attorno, o piuttosto vicino, alla tanta decantata abbazia dei certosini”. Dopo aver raccontato, con non poche imprecisioni, l’episodio accaduto nel marzo 1811, quando il generale francese Manhés fece chiudere le chiese e proscrivere i preti dopo l’uccisione, da parte dei briganti, di due soldati transalpini, ritorna a parlare fugacemente del “ monastero”, del “ laghetto artificiale” e della “rinomata cappella di Santa Maria”. Si tratta di brevi annotazioni nelle quali viene rilevata la ricostruzione, “su schemi moderni”, della Certosa che “conserva ben poco della struttura originale “ antecedente al terremoto del 1783. La curiosità lo spinge, però, ad occuparsi più dei certosini che del convento. Pertanto scrive:  “Ho gironzolato […] in compagnia di due monaci francesi in tonaca bianca, sforzandomi di ricostruire non il convento come era ai suoi tempi più giovani, ma ‘loro’”. Da uno dei due, “il più vecchio” che “aveva conosciuto il mondo”, apprende che, per ovviare alla prescrizione della regola che impone l’astinenza dalla carne, la “divina confraternita ha un contratto affinché il pesce venga portato su quotidianamente, per mezzo del servizio postale dalla lontana Soverato”. Indagate le abitudini alimentari dei certosini, quel che più di ogni altra cosa sorprende Douglas è la “maestosa foresta” che si trova sul “retro del monastero”, che “nella luce fioca del mattino madido di rugiada” appare come un “tempio” che racchiude “una magia più naturale e più sacra, che non negli ambulacri dei chiostri poco lontani”. Quel che ha permesso allo “aggruppamento di alberi solenni” di svilupparsi sono “ le rare condizioni del suolo e del clima”. “ La regione – scrive – è alta; il suolo è perennemente umido e intersecato da un’orda di ruscelli che riuniscono le loro acque per formare il fiume Ancinle; frequenti scrosci di pioggia scendono dall’alto. Serra ha un regime di precipitazioni piovose di insolita abbondanza”. Del centro abitato, che forse non ha neppure visitato, dice soltanto che “ sta in una vallata che occupa il bacino di un lago pleistocenico”. Ansioso di lasciare Serra per raggiungere la vita “lussuosa” e gli “agi” offerti dalla città di Crotone, Douglas, prima di partire, osserva quello che definisce uno “spettacolo benedetto per l’utilitarista”, ovvero la “fabbrica che trasforma il legno in carta”. Con tutta evidenza si riferisce alla fabbrica di cellulosa che ha operato a Serra tra il 1892 ed il 1928.

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