Giuseppe Musolino, l’ultimo brigante uccise anche nelle Serre
E’ stato considerato, da più parti, l’ultimo dei briganti. Un uomo in lotta per affermare la giustizia naturale su quella legale. A lui sono stati dedicati libri, articoli di giornale, film e persino un’ode da Giovanni Pascoli. La parabola di Giuseppe Musolino ha caratterizzato l’arco temporale compreso fra 1889 e 1901, quando è diventato il più celebre brigante italiano. A far lievitare la sua fama e con essa la taglia posta sul suo capo (passata da 100 a 20 mila lire), furono le sue gesta. Autore di sette omicidi compiuti e nove mancati, Giuseppe Musolino era nato nel 1876. Destinato, molto probabilmente, ad un’esistenza anonima, la vita del taglialegna di Santo Stefano d’Aspromonte subì una decisiva virata il 28 ottobre del 1897, in seguito ad una rissa scoppiata in un’osteria. Protagonisti della tenzone, i fratelli Vincenzo e Stefano Zoccali, da una parte e Antonio Filastò e Musolino dall’altra. Sembra una rissa come tante, se non fosse che, il giorno successivo, qualcuno ferisce a fucilate Vincenzo Zoccoli. Sul luogo del tentato omicidio viene trovata la coppola di Musolino che verrà arrestato, sei mesi dopo, a Reggio Calabria dalla guardia municipale Alessio Chirico. Il processo, apertosi nel 1898, si conclude con la condanna a 21 anni. Determinanti, in fase di giudizio, le false testimonianze di Rocco Zoccali e Stefano Crea. La detenzione dura poco poiché, il 9 gennaio 1899, insieme ad altri tre compagni, Musolino riesce a scappare dal carcere di Gerace Marina, l’odierna Locri. Nel volgere di poco meno di tre mesi tutti gli evasi verranno rintracciati ed arrestati. L’unico a sfuggire alla cattura é Musolino che, una volta libero, anziché cercare riparo all’estero, inizia a consumare la vendetta che aveva giurato di compiere al termine del processo. Una vendetta implacabile che insanguinerà anche il territorio delle Serre, dove Musolino arriverà nel mese d’agosto del 1899 per colpire il suo nemico principale, Vincenzo Zoccali. Dopo aver ucciso, in appena otto mesi, cinque persone ed averne ferite gravemente altre quattro, il brigante abbandona il suo covo aspromontano per dirigersi sul massiccio delle Serre. Indossati giacca e pantaloni di velluto grigio, con in testa un cappello e sulla spalla il fucile Vetterli, la sera del 26 luglio Musolino lascia il suo rifugio. Seguendo tratturi, mulattiere e vecchi passi, arriva nella provincia catanzarese con l’intento di eliminare Vincenzo Zoccoli il quale, dopo essersi inizialmente rifugiato a Reggio, ha raggiunto il resto della famiglia, trasferitasi a Gerocarne in seguito all’attentato dinamitardo con il quale Musolino, a maggio, ne ha distrutto la casa. Al termine di quattro giorni di cammino, l’1 agosto arriva nel cuore delle Serre. Qui si muove senza grandi precauzioni, anche perché non esiste nessuna foto segnaletica che possa permettere ai carabinieri di riconoscerlo. Leggenda vuole che il brigante sia passato da Spadola, dove avrebbe comprato le sigarette e si sarebbe fermato brevemente a parlare con la proprietaria della rivendita; mentre poco fuori paese avrebbe acquistato delle ricotte da Francesco Tassone (bisnonno materno del direttore del Redattore, Bruno Vellone) al quale, nell’atto di dargli il resto, avrebbe risposto: “ A galantuomu non si torna riestu”. Non si tratta di semplice memoria orale, gli episodi trovano, infatti, riscontro nella documentazione custodita nell’archivio del Museo storico dei carabinieri a Roma. La mattina del 7 agosto, Musolino è a Gerocarne, appostato lungo la strada che conduce in un fondo del bosco “Marano” dove Vincenzo Zoccali ha trovato lavoro. Nascosto dietro un cespuglio, vede sfilare davanti al mirino del suo fucile decine di carbonai. Verso mezzogiorno, ad attirare la sua attenzione è un ragazzo, vestito con una giacca marrone ed un paio di pantaloni di velluto, che conduce due muli. Nonostante il cappello a larghe tese ed i folti mustacchi, riconosce, Stefano Zoccoli, fratello del suo acerrimo nemico. Senza indugio esce dal nascondiglio e gli si para innanzi. Riconosciutolo, il ragazzo carca disperatamente di scappare. La vendetta di Musolino è implacabile. Stefano Zoccoli cade ferito da una fucilata che lo attinge alle spalle mentre cerca di scavalcare un muretto. Ricaricato il fucile, si avvicina al moribondo e lo finisce con un colpo allo stomaco. Rientrato da Gerocarne, il 19 agosto è a Sant’Alessio dove uccide Alessio Chirico, la guardia che lo aveva catturato. Molto probabilmente, dalle montagne delle Serre Musolino transita anche nel gennaio del 1901, quando a Fabrizia viene arrestato Stefano De Lorenzo, uno dei banditi che, il 9 marzo 1900, insieme a Musolino ed a Giovanni Iatì era riuscito a sfuggire alla cattura alla grotta “Mingioia”. Nel paese delle Serre, De Lorenzo, viene arrestato dai carabinieri mentre con un sacco in spalla, nel quale verranno trovate una scure e numerose cartucce, si sta dirigendo verso monte Pecoraro. Il sospetto, seppur non confermato, è che si trattasse di rifornimenti destinati a Musolino il quale, in seguito all’imponente dispiegamento di forze sul territorio è costretto a cercare riparo fuori degli ormai insicuri rifugi abituali. Con l’arrivo al Ministero dell’Interno di Giovanni Giolitti, il 15 febbraio 1901, il cerchio delle forze dell’ordine si stringe e Musolino deve lasciare la Calabria. Verrà fermato ad Acqualagna, non lontano da Urbino, il 9 ottobre 1901, quando i carabinieri, Amerigo Feliziani e Antonio Laserra, senza averlo riconosciuto riusciranno ad arrestarlo perché rimasto impigliato in un fil di ferro. Trasferito, il 24 ottobre, nel carcere di Catanzaro con un treno speciale, Musolino verrà giudicato e condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Lucca. Rimarrà nel carcere di Portolongone fino al 1946 quando, in seguito al riconoscimento dell’infermità mentale, verrà trasferito nel manicomio di Reggio Calabria, dove morirà il 22 gennaio del 1956. La breve ma intensa parabola criminale di Musolino sembra inverare una celebre frase Walter Benjamin: “Anche se non si distinguessero in nulla dagli altri criminali, i briganti resterebbero pur sempre i più nobili tra i delinquenti, perché sono gli unici a possedere una storia”.
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1 comment
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Carmela Morrison Lunedì, 08 Febbraio 2016 22:54 Comment Link
Io mi ricordo che mia madre sempre parlava di lui e che mio nonno l'a incontrato un giorno e hanno avuto una lunga conversazione. Io mi ricordo pochi righe della sua canzone.