Calabria: la Sanità malata e le finzioni della politica
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Questione di sostanza, ma anche di stile e di coerenza. Il refrain di “difendere il diritto alla tutela della salute dei calabresi” si spoglia dell’ultimo velo di significato e mostra la nudità di dichiarazioni sempre meno credibili di un mondo politico che, nonostante la rapidità di trasferimento delle informazioni, si ostina a dedicarsi alle apparenze badando poco all’efficacia delle azioni. Al cospetto di inequivocabili dati di fatto le parole perdono di significato e fra i cittadini cresce la diffidenza nei confronti di chi, evidentemente, non riconosce la siderale distanza che lo separa dalla quotidianità della gente comune. Il cerchietto rosso sul calendario è posto sul 3 marzo quando il commissario ad acta per il Piano di rientro Massimo Scura emana il decreto n. 30/2016 che, modificando il decreto n. 9/2015, provvede a ridefinire il riordino della rete ospedaliera calabrese. Subito si leva l’indignazione dei partiti – senza distinzione fra destra e sinistra – che ritengono che i calabresi, per effetto del mancato coinvolgimento dei loro rappresentanti, siano privati di ogni possibilità di incidere sulle decisioni che riguardano il loro futuro, oltre che fortemente penalizzati dallo smantellamento dei servizi sanitari. La furente loquacità si placa con la convocazione di un apposito Consiglio regionale, forse considerato da qualcuno come uno strumento per lavarsi la coscienza. Ma la contraddizione è evidente: la data stabilita è il 24 marzo, ben 21 giorni dopo la pubblicazione del contestato decreto. La sensazione trasmessa ai calabresi è quella di un annacquamento della discussione. Se una questione è considerata urgente, ha poco senso infatti affrontarla dopo 3 settimane. E nelle ultime ore è maturata un’ulteriore beffa: la riunione dell’Assemblea è stata spostata dal 24 al 31 marzo. Forse perchè il 24 coincide con il Giovedì Santo o forse perchè c’è dell’altro. Insomma, l’argomento Sanità può attendere. Come se non ci fossero disagi insopportabili, costi elevati, corsie intasate. Ragionamenti ormai vecchi e ripetuti: peccato che a pagare il prezzo più alto sia, ancora una volta, chi i soldi per permettersi una prestazione sanitaria di qualità non ce li ha proprio.
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