Bella senz'anima: lo sguardo spento di Reggio su un futuro senza luce
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Non scorre più il sangue nelle vene della città ed il tempo pare sospeso nell'attesa della formale constatazione del decesso. Fu definita "dolente" Reggio, in un'epoca neanche troppo lontana e nemmeno troppo diversa da questa in cui è tristemente indolente. Un'inedia collettiva la pesta senza suscitare alcuna reazione collettiva. Il cuore della comunità non batte più all'unisono, i battiti, lenti come i riflessi. Prostrata ai piedi dell'immutabile scorrere degli eventi, subisce il vuoto di idee e la scomparsa della speranza. Sono questi gli effetti catastrofici di una guida mediocremente burocratica che manca di guizzi, assente nella costruzione di un'idea, di un sogno comune. Non c'è nulla di politico nell'amministrazione quotidiana della città, solo uno stanco ed inconcludente vagare attorno a problemi che, sofferta la metamorfosi in drammi sociali, schiacciano con la loro enormità le piccolezze di parvenu borghesi chiusi nel loro fortino di fango dal quale si affacciano esclusivamente per lanciare qualche innocuo petardo da social network, unico regno in cui appaiono in una disperata fuga da una realtà sgangherata. C'era una volta in cui erano i detentori di pacchetti di voti a governare le sorti di un gruppo organizzato di individui. Il processo involutivo della sedicente democrazia ha mutato l'assetto facendo salire sul proscenio burattini di cartapesta i cui fili sono tirati dai loro rispettivi referenti che, agendo dietro le quinte, hanno espulso dalle dinamiche politiche il sacro principio della responsabilità in capo alle persone fisiche investite dal consenso. Dalle terze e quarte file la selezione dei "capicordata" ha premiato i più fedeli ed i più docili, perseguendo così una terribile concezione del potere. Tacere per mantenere la posizione, influenzare per marcare il territorio: sono queste le uniche regole da rispettare. Nel frattempo l'agonia di Reggio diventa insopportabile, il respiro è ormai un rantolo, si fa affannoso ed ogni mattina in cui la città apre gli occhi aumenta la consapevolezza che il buio della notte non si è arrestato davanti all'incedere del sole. Riannodare i fili, tranciati dalla diffidenza reciproca, di un sentire condiviso tra gli inquilini di Palazzo San Giorgio e l'anima popolare è, e sarà impossibile: è la connessione sentimentale ad essere venuta meno. La frattura è irriducibile e troppi spettri agitano il sonno dell'una e dell'altra parte i cui destini si sono irrimediabilmente separati. Quando venti mesi fa i reggini furono chiamati alle urne scelsero di assecondare lo spirito del tempo: troppo fresca la ferita aperta dal commissariamento seguita allo scioglimento del Consiglio Comunale per contiguità con la 'ndrangheta, troppo frettolosamente archiviate le motivazioni retrostanti una decisione poi rivelatasi scellerata, nel metodo e nel merito. A dominare all'epoca era la vulgata secondo cui fosse decisivo, per riprendere il cammino bruscamente interrotto, affidarsi alla terapia shock di un giovanissimo rampollo che incarnasse, nella forma più netta possibile, una cesura con il recente passato. Erano stati anni vissuti di corsa, anche se non sempre nella direzione giusta. Lo stop intimato da Roma, epilogo di logiche ben chiare da un lato ed assai oscure dall'altro, ha segnato la traumatica fine di una lunga stagione, quella scopellitiana, appesantita da troppi fardelli, alcuni concreti, altri costruiti ad arte da nemici vicini e lontani. Aspettative forse eccessivamente alte per l'asticella che avrebbe potuto saltare Giuseppe Falcomatà, che niente vantava nel proprio curriculum per meritare la fiducia accordatagli. Presto, prestissimo, infatti, i nodi sono venuti al pettine: un ansimante tirare a campare avviato già con la formazione del gruppo di testa composto, in gran parte, da fanciulli impegnati ancora in una affannosa ricerca di identità. Così facendo, è stato facile per la città smarrire la propria: senza timonieri che conoscessero la rotta, la nave si è subito incagliata negli scogli dell'anonimato. Non serve qui dilungarsi nell'elenco degli scivoloni e degli errori che certificano l'inconsistenza degli amministratori reggini. Tante altre cadute seguiranno e sarebbe ingeneroso verso i cittadini mettere il dito nella piaga ed affondarlo nella purulenza dell'inadeguatezza. Perché il nodo inestricabile da sciogliere è legato in una dimensione che resta al di là della politica ed occupa uno spazio che la precede: in discussione, infatti, sono carisma e leadership. E' il deficit di personalità a riverberarsi sull'azione amministrativa, una debolezza che scarica i suoi fulmini sul mare di attese di un popolo, quello reggino, oppresso da disillusione e disincanto e per questa ragione chino sotto il fardello di un futuro invisibile. Una impreparazione al ruolo di classe dirigente i cui tratti, paradossalmente, presentano caratteri ancor più marcati nelle tappe decisive: non più tardi di qualche giorno fa la presentazione in pompa magna dei contenuti presenti nei Patti per il Sud. Un flusso di risorse finanziarie che dovrebbe contribuire ad accendere la miccia dello sviluppo. Contegno istituzionale messo da parte per far posto ad un trionfo di selfie strappalike su Facebook. L'autocompiacimento al potere, purissima cartina di tornasole di una "banda" di giovin borghesi che quotidianamente si specchiano nella loro disarmante inconsapevolezza. In fondo, questo è, pur sempre, il luogo in cui basta un torello, libero di scorrazzare per un intero pomeriggio lungo le strade in un sabato primaverile, per mettere a soqquadro l'ordine sociale, preso a schiaffi da una disorganizzazione spudorata. Resta, per fortuna, il sollievo di vivere lontano dalla geografia del terrore islamico: cosa sarebbe successo se, invece, di un esemplare sfuggito al controllo, a vagare per le vie della città fossero stati i fratelli Kouachi che, loro sì, hanno spappolato l'anima dell'Europa? Avrebbero raso ogni angolo lasciandosi dietro le spalle una scia di macerie: la stessa che sarà sotto lo sguardo spento di ogni reggino se gli "apostoli della Svolta" non imprimeranno prima di subito l'inversione di rotta al fragile vascello, diretto verso l'iceberg dell'oblio.
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