Il centro storico di Serra e l'identità perduta
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Scivolare lungo il dedalo di viuzze di Serra San Bruno sprigiona emozioni che arrestano il corso naturale del tempo permettendogli di fare retromarcia e imboccare i percorsi lontani della storia. Ad ogni passo corrisponde una sana ubriacatura di ricordi, gli odori sembrano essere stati sempre lì, sospesi nell'aria frizzante, protetti da pareti esterne scrostate dall'inesorabilità di un trapasso nell'aldilà della memoria. Rinunciare alla custodia gelosa di quei tesori che scorrono uno dopo l'altro, stretti e vicini come fossero un corpo unico indistinguibile e non unità immobiliari distinte e separate, si è tradotto nell'abbandono del carattere più intimo della comunità serrese. E' la prova, sbattuta in faccia, della bandiera bianca alzata di fronte ad un mal interpretato progresso che ha contribuito a tagliare, fino a ridurlo in minuscoli pezzettini, quel destino comune un tempo inseguito in modo naturale, senza sforzi. Le lingue di pietra che scorrono tuttora sotto i passi sempre meno frequenti dell'uomo circoscrivevano, in un passato che appare remoto, i confini di un enorme cortile: nessun limite a fissarne i margini, nessuna rivendicazione di proprietà privata perché, si sa, la strada è di tutti. Il dramma, vero, è che nel terzo millennio quei medesimi ciottoli, quelle medesime stradine incastonate in un labirinto di arte umile e preziosa, sono diventate di nessuno. Il vociare che dettava il ticchettio della quotidianità è stato strozzato dalla modernità che ha sprangato le porte e svuotato il presepe vivente 365 giorni l'anno. Non è nostalgia, è consapevolezza. Non è rimpianto a buon mercato, è coscienza collettiva che si affievolisce fino a morire. L'errore capitale non è di oggi, ma fu quello di non rendersene conto quando sarebbe stato possibile, quando sarebbe stato indispensabile. E' come se, di fronte ad un male che lentamente si affaccia in una parte vitale del corpo, si preferisca fingere che non esista: non vedere, non sentire, non parlare. Ma è un male che non lascia scampo se non arrestato immediatamente. Un incubo che avanza attaccandosi ovunque fino a bruciare l'anima. Questo è successo qualche decennio fa. E' lì, a qual bivio dell'urbanistica e, di conseguenza, della vita sociale, che Serra si è smarrita. Ha fatto e permesso ciò che non avrebbe dovuto, non ha fatto e non ha impedito ciò che avrebbe dovuto. Inseguendo uno sviluppo urbanistico che ha occupato oasi incontaminate, stuprando ciascuna di esse, si è lasciata invadere dalla folle corsa a costruire ed ingoiare ogni centimetro di paradiso terrestre. A ridosso della gloriosa Certosa, lì dove comincia la ristoratrice passeggiata sotto la verde maestosità di alberi e foglie, fu addirittura edificata la sede della Compagnia Carabinieri. Ovunque, gli amministratori dell'epoca, avrebbero potuto concedere la licenza per costruire un edificio così imponente, ma non lì. E' stato un messaggio devastante, il segnale che la cittadina cara a San Brunone di Colonia rinunciava, da allora e per sempre, alla sua più intima vocazione turistica, in realtà mai coltivata con perseverante intelligenza e lucidità. Quel che ne è scaturito nel corso degli anni è stato il peggiore degli esiti: il centro storico ridotto ad una sbiadita e poco colorata cartolina raffigurante altre epoche e zone, un tempo consacrate alla natura incontaminata, ridotte a terreni buoni per alzare palazzi e palazzine, ville e villette. Il conto aperto, sul piano paesaggistico e sociale, non potrà mai più essere saldato, ma ingegnarsi per provare a restituire vita pulsante al cuore di Serra San Bruno è un'impresa che vale la pena perseguire. Consegnare al futuro l'identità di epoche intrise di maestria artigianale e solidarietà umana, recuperare, anche così, rapporti umani risvegliati dal torpore dell'insano egoismo sarebbe il modo migliore per rialzare la testa e riappropriarsi dell'identità perduta. Trovando forme, realistiche e concrete, per ripopolare case disabitate e voracemente consumate dall'usura dello scorrere delle stagioni permetterebbe all'anima serrese di sottrarsi alle maledette grinfie dell'oblio.
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