Una banca (la Carime) rapinata, un ufficio postale (quello di Brognaturo) quasi, una gioielleria (Monilia) derubata. E poi tanti furti, spesso in case di anziani indifesi, vetture sospette e uomini incappucciati che si aggirano nei centri montani del Vibonese creando allarme e incertezze. Gli ultimi mesi sembrano raccontare la storia di un’area in cui gli eventi criminali si susseguono perché ci sono risparmi e ricchezze tali da garantire soddisfacenti bottini. E, invece, ci troviamo in una delle zone più desolate del Paese, dove lavoro fa rima con miraggio e dove la guerra non è quella al terrorismo ma quella fra poveri. Perché la scarsità di risorse porta a contrasti sociali, a ferite che difficilmente si rimarginano. In questo territorio, in cui le speranze di realizzazione personale sono ridotte al lumicino, le condizioni di vita paiono via via peggiorare: i soldi in tasca diminuiscono, i rischi relativi alla sicurezza e alla salute aumentano. I servizi spariscono, l’isolamento – soprattutto culturale – dilaga. Le migliori menti si trasferiscono e qui rimane una popolazione sempre più vecchia, non tanto demograficamente quanto dal punto di vista della mentalità. In questo contesto, c’è spazio per il principio della sopraffazione, per l’idea di appropriarsi di ciò che è nella disponibilità degli altri. Non è semplice arginare quest’ondata di illegalità. Le forze dell’ordine sono presenti e attive, ma il loro compito è combattere un nemico invisibile: la convinzione che rimanere sia un’impresa possibile solo al prezzo di rinunciare ad una vita normale. Diventa decisivo il ruolo della politica e della società: va innanzitutto ritrovato il senso di appartenenza a questa comunità, sempre più lesionata da spinte individualiste e isolazioniste; serve concretizzare un progetto organico di sviluppo, che permetta ai giovani di intraprendere la strada della costruzione di un nucleo familiare e a tutti i cittadini di recuperare la fiducia nella classe dirigente; va rafforzato il sistema educativo con una reale sinergia fra genitori e insegnanti; è necessario tornare al concetto di dedizione al lavoro e alla capacità di sacrificio abbandonando l’abbaglio del “guadagno facile” e degli eccessi impuniti. La parola d’ordine dovrà essere aggregare, non dividere. Questa terra è stata la patria di sapienti maestri e la culla della spiritualità certosina. Ma ora il bivio è inevitabile: o risorge la collettività serrese o il fallimento individuale diventerà lo scenario più probabile.