Sono pronti a tutto per far valere i loro diritti. Perché si sentono abbandonati dallo Stato che non solo non li aiuta, ma chiede anche le tasse da versare. Per stasera gli abitanti di Campoli di Caulona hanno organizzato una riunione per raccogliere le tessere elettorali. Procederanno così con lo sciopero elettorale e poi con quello fiscale, non pagando più le imposte. Intanto, hanno inviato una missiva, che riportiamo integralmente, al ministro dell’Interno Angelino Alfano e, per conoscenza, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del consiglio dei ministri Matteo Renzi e al prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino:
“Egregio Ministro,
con sentimento di profondo rammarico siamo costretti a rappresentarLe quanto segue:
l'umiliazione che subiamo oramai quotidianamente, per la sola colpa di essere nati in queste plaghe internate ed emarginate dalla società civile, ha superato ogni limite di sopportazione. Col passare inesorabile del tempo, si sta trasformando una fetta di paradiso, tanto decantato da storici, letterati e poeti, in un vero e proprio inferno, per coloro che ancora, coraggiosamente, vi risiedono. L'essenza stessa dello Stato, che trova la sua ragion d'essere nel bisogno primario dei cittadini di curare meglio i propri interessi primari, qui da noi, oramai, non si avverte più. Non trova più alcuna giustificazione il rispetto di quel contratto sinallagmatico che, in quanto cittadini, abbiamo sottoscritto col nostro Stato, se la contropartita, alla limitazione della nostra libertà naturale, alla nostra volontaria e consapevole sottomissione al potere governativo, è il nulla! Il nostro non vuole essere più, soltanto, un libero sfogo contro l'apatia endemica, l’insofferenza diffusa, il completo oblio, quanto meno nei nostri confronti, da parte delle pubbliche istituzioni, oramai ridotte a fredde e macchinose strutture centralizzate, prive di anima e sensibilità civile, senza più alcuna ramificazione funzionale sul territorio; ma una ferma e risoluta azione collettiva che intende segnare l’inizio di una nuova stagione: la stagione della lotta per la civiltà, una lotta nuova e consapevole, fatta non più di inutili chiacchiere e futili proteste, che lasciano il tempo che trovano o al più si prestano a mere strumentalizzazioni politiche; ma di atti concreti, atti forti, fatti da gente disperata e, per questo, risoluta; atti capaci di attirare finalmente l’attenzione di questo fantomatico Stato, che esiste per tutti, anche per gli stranieri, eccetto che per noi; atti capaci di conseguire non dei piccoli contentini provvisori, come si fa con i mendicanti; non dei semplici palliativi occasionali, che sono entrati, oramai, a pieno diritto, nel modus operandi dei nostri "scaltri" politici; ma atti capaci di pungere, atti eclatanti diretti ad ottenere finalmente quel doveroso e completo riconoscimento giuridico che, in quanto cittadini, meritiamo e pretendiamo. È ora che emerga finalmente dall’oblio quell’orgoglio e quella fierezza che per millenni ha contraddistinto la nostra gente, una gente umile si, ma al tempo stesso forte e generosa, che ha saputo cullare nel suo grembo la più alta espressione della cultura e della civiltà di tutti i tempi; che ha contribuito, col sudore e con il sangue, a costruire questa nazione; che non ha mai abbassato il capo per chiedere supinamente, prostrandosi ai piedi di alcuno, ma ha sempre orgogliosamente dato ed in ogni parte del mondo, dove la sorte l'ha spinta, raminga, ha sempre saputo distinguersi, facendosi apprezzare e dispensando altrove i benefici delle proprie straordinarie capacità. Ci sentiamo cittadini italiani, dunque, a pieno titolo, non per gentile concessione di qualche Presidente generoso, ma per ovvie ragioni di diritto e di merito, e siamo perciò stufi di essere trattati solo come portatori sani di voti ed essere ricordati solo in occasione elettorale, quando, e solo quando, la nostra opinione ed il nostro voto sembrano contare qualcosa. La nostra dignità non ha prezzo e non siamo più disposti a mutilarla, scendendo a compromessi col politico locale, che, a volte, è riuscito ad ammorbidirci, facendoci promesse ed assumendo impegni, salvo poi disattenderli puntualmente, una volta rieletto. Ci troviamo oramai di fronte ad un Parlamento e ad un Governo, che non sono più espressione del popolo sovrano, bensì della politica e dei partiti, i cui interessi, se è vero come è vero, che sono meno del quaranta per cento coloro che vanno ancora a votare, non coincidono di certo con quelli della popolazione reale. Dov'è dunque la democrazia, se oggi a determinare le sorti del paese è solo un'esigua parte della popolazione, nettamente minoritaria. Quale valore ha il diritto al voto, conquistato con la lotta e con il sangue dei nostri padri, se, oggi, i governi vengono determinati dalle segreterie dei partiti, anziché da legittime elezioni, e le urne vengono disertate proprio da quelle larghe e basse classi sociali, che pur essendo maggioranza nel paese ed esprimendone quindi i bisogni reali, pur avendo finalmente conquistato questo sacrosanto diritto di voto, oggi non si riconoscono più in nessuno organo rappresentativo. Di fronte alle laute prebende riservate ai politici di professione, quale importanza possono rivestire le esigenze primarie della gente comune; si tratta solo di piccoli fastidi quotidiani che occorre tamponare alla meno peggio, solo per poter mantenere quella fiducia che consente loro di rimanere stabilmente seduti sulla comoda poltrona del potere. Oggi la politica viene intesa solo come potere finalizzato a se stesso, non più come spirito di servizio e sacrificio, ed in questa logica, che ha determinato una progressiva e consapevole disaffezione della gente comune dal mondo politico, pensare di trovare ancora un referente serio disposto a sacrificare risorse personali e privilegi radicati pur di dedicarsi alla risoluzione dei reali problemi che il territorio esprime … è mera utopia. Pensare ancora di chiedere al potere costituito di riformare se stesso nell'interesse della collettività e delle sue esigenze . . . è pura illusione. Ci fa rabbia sapere che viviamo in una realtà dalle potenzialità di sviluppo zootecnico ed agro-turistico esplosive; basterebbe un serio programma di intervento sul piano infrastrutturale per far decollare un territorio fantastico, dalle risorse smisurate e dalle bellezze sconfinate. È per questo che le parole non bastano più.Il nostro territorio è ormai vecchio ed abbandonato: vecchio perché abitato da vecchi e costellato da abitazioni vecchie e spesso pericolanti. La forza giovane della popolazione con la sua vitalità e la sua intelligenza è andata ad arricchire l’economia e la cultura di altri paesi, paesi dove ci sono condizioni ideali per una migliore realizzazione personale. Rimangono qui solo i bambini, che sono la nostra speranza, gli anziani, che sono la nostra memoria, ed un gruppo di giovani, che qualcuno ha definito “cristi di carne”, i quali, vista la totale mancanza di lavoro, al punto che anche l’ufficio di collocamento da tempo è stato ormai chiuso, vivono di illusioni e rassegnazione, coltivando quotidianamente l’arte dell’arrangiarsi e cercando di strappare allo Stato “brandelli di speranza”, misere oblazioni che lo Stato avaramente, ma molto sapientemente, dispensa loro, sottoforma di “progetti ricatto” come: L.S.U. - L.P.U. - REDDITO MINIMO D’INSERIMENTO – FONDO GLOBALE PER L’OCCUPAZIONE ecc. ecc. ecc., in cambio del loro silenzio e della loro sottomissione, ma a costo del sacrificio della loro dignità e della loro stessa vita. Accanto a questa prima forma di generale emarginazione, noi residenti di periferia, siamo costretti a subirne un’altra più penosa, per il semplice fatto di abitare in zone lontane dai centri capoluogo e per di più in montagna; già Caulonia dista anni luce dal capoluogo di provincia, Reggio Calabria; Campoli poi dista quasi 20 km dal capoluogo di comune, Caulonia: periferia della periferia, dunque; una guerra tra poveri, insomma, centri contro hinterland, marinate contro zone montane, i cui effetti si ripercuotono sulla nostra pelle in termini di inefficienza di servizi o, addirittura, completo abbandono. Quotidianamente siamo costretti a percorrere strade tortuose, completamente dissestate, in alcuni casi al limite della transitabilità; strade che ora, paradossalmente, per questioni economiche, si preferisce chiudere al transito, anziché riparare, costringendoci così a percorsi alternativi ancora più disagiati. Ecco allora che ciò che altrove riveste i panni dell’ordinaria amministrazione, da noi diventa straordinario; per ottenere il rispetto dei più elementari diritti, dobbiamo impiegare il massimo delle nostre risorse. Come potremo mai in queste condizioni sperare di superare il gap che ci separa dal resto paese; come potremo mai pensare di avviare delle condizioni di sviluppo che ci consentano di concorrere sullo stesso piano con le altre province e regioni italiane ed europee. L’unico segno della presenza dello Stato nel nostro territorio, che ci consentiva, se non altro, di dare ancora una giustificazione alle tasse che ancora quotidianamente e generosamente paghiamo, era rappresentato dall’ufficio postale. Laddove non esiste più una caserma dei carabinieri, non esiste più una guardia medica, né alcun altro ufficio della pubblica amministrazione, insisteva ancora la presenza delle poste, una presenza importante non solo concretamente, perché consentiva di evitare, quanto meno agli anziani, di trovare, ogni mese, un mezzo di locomozione e percorrere 40 km di mulattiere (troppo onore chiamarle strade), solo per riscuotere la pensione o pagare una bolletta, ma anche simbolicamente, perché, benché privatizzata, la posta, che al momento del suo insediamento raggiunse il secondo posto in tutta la provincia, quanto a percentuale di reddito raggiunto, costituiva l’unico presidio che ci consentiva ancora di considerarci cittadini italiani, l’unico ed ultimo collegamento col mondo civile. Ebbene anche quest’ultimo baluardo è crollato. I primi sintomi di questo cedimento strutturale li avevamo già ravvisati, ed ampiamente denunciati a chi di dovere, nella gestione irriguardosa e superficiale, con cui era stato condotto l’ufficio postale, negli ultimi tempi. Evidentemente l’apertura a giorni alterni concordata con la direzione delle poste, e da noi tollerata, era solo un palliativo, per addolcire la pillola, che sarebbe poi puntualmente arrivata, con la chiusura definitiva. In barba alla tanto decantata politica della montagna, alle straordinarie tutele legali di cui usufruiscono tutti i servizi pubblici ricadenti in zone rurali e disagiate, a tutte le passerelle e le garanzie forniteci dai nostri, collusi e bugiardi, rappresentanti politici locali. Si è preferito cancellare indelebilmente un servizio essenziale per questa collettività, perché considerato forse troppo oneroso, rispetto al bacino di utenza interessata, e la strada scelta è stata quella più vergognosa dell' inganno, della mortificazione sociale e civile. Allora logicamente ci chiediamo: se la giusta causa per sopprimere un pubblico servizio può essere rappresentata dalla mancanza di convenienza economica, anche noi, di conseguenza, per una questione di mera convenienza, possiamo addurre la mancanza di erogazione di servizi pubblici, quale giusta causa, per non pagare più altre tasse inutili, per non foraggiare più uno Stato perennemente assente. Non c’è più spazio per le promesse e per le buone intenzioni; siamo stufi di essere trattati con sufficienza, come se fossimo cittadini di secondo ordine, e per questo abbiamo ormai concordato d’intraprendere le vie di fatto e tenere duro fino a quando non arriveranno risposte serie. Il primo atto, di questa nostra battaglia, sarà un vero e proprio sciopero elettorale e cioè la raccolta di tutte le schede elettorali dei cittadini residenti nella frazione Campoli di Caulonia, che saranno restituite al Ministero dell’Interno, insieme all'elenco delle firme degli ex-elettori. Se le risposte da noi sperate continueranno a non arrivare, procederemo al secondo atto, che consisterà nello sciopero fiscale. Nessuno pagherà più le tasse fino a quando non verranno restituiti a questa frazione tutti quei servizi civili che fondano la loro stessa ragion d’essere. Niente servizi, dunque, niente tasse. In attesa di autorevoli riscontri alle nostre invocazioni, ci scusiamo per gli eventuali disagi che la nostra pervicace azione potrà arrecare e porgiamo, a tutti, i più cordiali saluti nel rispetto di quella cordialità che i nostri padri ci hanno tramandato”.