I Gal e il “cappello” sullo sviluppo: la guerra fra Censore e Callipo
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In un territorio arretrato come il Vibonese, che spesso deve fare i conti con la zavorra del clientelismo e gli effetti nefasti del passato, “fare sinergia” diventa terribilmente difficile. Le aspettative sono direttamente proporzionali alla rivalità, lo sviluppo viene inteso come “un gioco a somma zero”. Fra i singoli si manifesta talvolta una malcelata invidia sociale che si traduce nel tentativo di screditare l’avversario. Lo scontro si sposta fra aree, territoriali o politiche che siano. Riprova della tendenza alla “diversificazione” sono le modalità di elaborazione di strategie per la crescita economica, che a queste latitudini si trasformano in “progetto politico”. E la politica porta alla divisione, in casi estremi alla concretizzazione della teoria “mors tua vita mea”. La nascita di un nuovo Gal su ispirazione della componente censoriana del PD, che di fatto rappresenta un elemento di rottura rispetto agli attori del Cogal Monte Poro – Serre Vibonesi, è l’esempio lampante della differenza di “programmi” fra quelli che paiono “sistemi” concorrenti. Sistemi di gestione di risorse (e dunque di potere) che, a seconda dell’indirizzo vincente, spostano gli equilibri dello sviluppo territoriale. Per comprendere il livello di tensione è sufficiente rileggere la parte finale di una nota vergata da Gianluca Callipo: “In queste ultime settimane ha preso forma il progetto di alcune forze politiche di costituire un altro Gal, in antitesi a quello Monte Poro – Serre Vibonesi, attivo dal 1994. Si tratta del chiaro tentativo di dare una connotazione di parte alla promozione dello sviluppo territoriale, cercando contestualmente di dirottare i finanziamenti europei verso una precisa fazione politica. L’adesione di Pizzo al Gal storico della provincia vibonese, quindi, rafforza la sua azione e contribuisce a riportare l’attenzione sui contenuti progettuali piuttosto che sulla mera appartenenza politica come, invece, altri preferirebbero fare”. Parole pesanti come macigni, che non hanno bisogno di interpretazioni, che vanno confrontate con quelle della controparte, che testimoniano una guerra politica senza quartiere. Che va avanti anche quando in ballo c’è il futuro del territorio, al di là di quello che viene proclamato dai palchi. E, d’altronde, se i paesi del Vibonese perdono, anno dopo anno, i loro giovani migliori che fuggono verso opportunità non condizionate, un motivo dovrà pur esserci.
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